Il sogno americano, un’idea lungimirante e ambiziosa, un CEO pronto a conquistare il mondo, e poi la rapida ascesa, una valutazione da 47 miliardi di dollari, un’azienda destinata a divenire la stella polare delle start-up pionieristiche statunitensi.
Il declino, la caduta di un’istituzione, il “crash” di cui parla la nuova serie di Apple TV. Quanto velocemente si può precipitare dall’apice del successo? WeCrashed prova a spiegarcelo.
Adam Neumann aveva sfruttato tutto il suo dinamismo, la sua veemenza e il suo charm per arrivare al cuore di 10mila dipendenti e soprattutto a quello del dirigente di SoftBank, una holding multinazionale giapponese che gestisce il Vision Fund, il più grande fondo di investimento in tech del mondo. L’accecamento è tale da sborsare 4 miliardi di dollari, utilizzati per far proliferare e insediare la start-up in tutto il Paese e anche oltre; in brevissimo tempo, tutti sapevano cos’era WeWork.
Cos’era? Il progetto di un visionario rivolto ad “elevare la coscienza del mondo” con i suoi spazi di co-working. Uffici privati, scrivanie, un semplice posto in cui poter creare e sviluppare le proprie capacità imprenditoriali, condividendo l’ideale di una comunità lavorativa che non facesse mai sentire nessun nuovo startupper solo.

Neumann offriva luoghi per chi avesse bisogno di progettare e permettere alla propria creatività di fluire, fuori dal proprio seminterrato di casa, esaltando WeWork come “lo spazio-ufficio del domani”. Di lì a poco tutte le principali città americane e no, vantavano strutture e stanze riservate ai clienti dell’allora start-up più valutata degli Stati Uniti, le quali iniziano ad ospitare anche dipendenti di grandi aziende che immaginavano il lavoro all’interno di quegli spazi come fruttifero e produttivo.
Nuove superfici e nuovi piani, da WeLive, un condominio che incrementava la forza della community e dei componenti, facendoli sentire costantemente parte di un gruppo e minimizzando -a detta del fondatore- il tasso di suicidi, a WeGrow, una scuola nel centro di Manhattan, WeBank, WeSleep, e persino l’idea di WeMars; sì, avete tradotto bene, il denaro circolava in maniera talmente ingente da offuscare anche il raziocinio, tanto da voler aprire uffici anche su Marte.
Chi mettere al timone dell’interpretazione di questo squilibrato e carismatico personaggio, se non un’altrettanta persuasiva e camaleontica personalità? Jared Leto è Adam Neumann, il protagonista del nuovo show televisivo che coniuga inventiva ed eccesso, accompagnato da Anne Hathaway, l’attrice eterea che conquista il pubblico da oltre vent’anni, questa volta messa in scena come partner ed ispiratrice delle sagaci idee di Adam.

Vicende tragicamente vere, raccontate in modo da restare ancorate alla realtà, grazie a chiacchierate con amici, ex colleghi ed impiegati di Neumann, le quali sono servite ai creators per disegnare il suo mondo e le azioni che si sono rincorse al suo interno. L’attore principale invece, ha deciso di attingere direttamente alla fonte, incontrandosi segretamente con l’uomo che avrebbe interpretato e cogliendo da lui tutte quelle micro-sfumature di cui necessitava per entrare nella parte e sentirsi realmente lui.
“È quasi come un film d’azione e le parole sono l’azione. Le parole di Adam erano così potenti per lui. Alla fine di ogni giornata mi sentivo come se stessi per crollare” spiega Leto al The Sydney Morning Herald, facendo riferimento a una persona così dedita all’uso incisivo della parola, da portarlo a terminare le giornate di riprese con un vero e proprio dolore fisico. “Certo, quando ha tenuto un discorso lo ha pronunciato una volta, ma durante le riprese potresti pronunciarlo 100 volte. Ha parlato con tale convinzione e così fisicamente – è stato incredibilmente impegnativo”.
Una storia che fa girare la testa, in un attimo riesce a risucchiare lo spettatore nelle dinamiche vertiginose di una stella che in pochi minuti diventa cadente e destinata a valere un quarto del suo valore iniziale.
Grazia Battista