Wandavision vi ricorda qualcosa? Un viaggio fra le sitcom cult che hanno dato vita alla serie

La prima serie rilasciata dall’Universo Cinematografico Marvel è qualcosa di inaspettato ma allo stesso tempo incantevole e nostalgico al punto giusto. WandaVision esce dagli schemi a cui i colossal della Marvel ci avevano abituati ed entra con decisione nel sofisticato equilibrio del piccolo schermo, rendendogli anche un glorioso omaggio.

“Credo sia davvero bello che il primo programma in streaming dei Marvel Studios, produttore di enormi film di successo, è davvero una lettera d’amore alla storia della televisione.” Afferma Mark Shakman, regista dei nove episodi della serie, elogiando un prodotto che ha effettivamente ammaliato i fan con i suoi precisi e perfetti rimandi alle sitcom americane che hanno segnato i decenni.

Ogni episodio si prefigge infatti l’obiettivo di trasportare lo spettatore all’interno di un mondo che per certi aspetti sembra già visto ma per altri introduce a nuovi scenari totalmente inaspettati. La bellezza dello show risiede proprio in questi due dettagli: una riproduzione accogliente e confortevole dei grandi classici e un’oscura ed enigmatica nuova realtà che dà avvio alla fase 4.

I primi riferimenti su cui poggiano le puntate di WandaVision potrebbero essere sconosciuti ai più giovani, ovvero alla sostanziale parte dei fan, ma ripercorrendo i nomi che hanno reso grande il genere della sitcom americana e internazionale, anche i più piccoli hanno la possibilità di riconoscere titoli ormai famosi in ogni generazione.

Si parte con il primo episodio, inaspettatamente in bianco e nero, in cui gli anni di riferimento sono i ’50 e il titolo, la sigla, la scenografia, i costumi e il manierismo di Elizabeth Olsen rievocano in maniera esemplare le sitcom dell’epoca. Prima fra tutte I Love Lucy (in Italia conosciuta come Lucy ed io), capostipite del genere e precursore dell’usanza di ospitare il pubblico dal vivo, scelta che hanno voluto seguire anche gli sceneggiatori di WandaVision per rendere l’episodio verosimile allo spettro utilizzato negli anni Cinquanta. Tutto ci riporta al passato, anche a livello tematico, con la messa in scena di una quotidianità di quei tempi, in cui riecheggia in primo piano il cliché del marito lavoratore e la moglie casalinga.

Per rispettare gli stilemi delle sitcom create fra gli anni ’50 e ’60, i creators della serie si sono anche rivolti a Dick Van Dyke, protagonista di The Dick Van Dyke Show andato in onda proprio negli anni Sessanta ed esempio delle iconiche gag distintive del genere, le stesse a cui ha poi attinto Paul
Bettany per interpretare Visione nelle prime due puntate. Va da sé che il secondo episodio è quindi incentrato sugli show rappresentativi di quegli anni che hanno visto primeggiare sitcom tutte al femminile come Bewitched (diventata famosissima anche in Italia con il titolo Vita da Strega ) e I Dream of Jeannie (in Italia Strega per amore), in cui le protagoniste sono alle prese con le proprie abilità e con la necessità di doverle nascondere alla società. È quello che prova a fare Wanda, nonostante se ne serva sempre per salvare la situazione, ribilanciando la superiorità di poteri a suo favore come avviene nelle serie a cui è legata, che mostrano appunto la prevalenza del personaggio femminile.

Un altro rimando esplicito è dato dall’avvicinamento dei due letti in cui dormono i protagonisti, rappresentati inizialmente con questa distanza per seguire le orme degli albori filmici e seriali americani, in cui, fino alla fine degli anni ‘60 era proibito per legge mettere in scena una coppia, anche sposata, nello stesso letto. In questo caso il sistema viene sovvertito proprio da Vita da Strega, identificata come la prima sitcom in cui due coniugi condividono lo stesso letto e presa come ispirazione dalla Marvel anche per la creazione dei titoli di testa della seconda puntata, aventi chiari riferimenti alla memorabile sigla originale della strega che ha attraversato tutte le generazioni.

Il viaggio fra le sitcom più gloriose continua, introducendo nel terzo episodio anche il colore e di conseguenza l’omaggio alle prime serie non più in bianco e nero che hanno tracciato il filone degli anni ‘70. Dal cambio di scenografia alla sigla, la sitcom citata indirettamente è The Brady Bunch (in Italia La famiglia Brady), colei che ha lanciato il format della commedia familiare, senza il quale non sarebbero nati piccoli gioielli come Happy Days.

Con una sigla che rievoca quelle di Growing Pains (in Italia Genitori in Blue Jeans) e Family Ties (in Italia Casa Keaton) si apre l’episodio in stile anni ’80, che dà spazio ad una sigla lunga, elaborata, fatta di scene prese dagli episodi e scandite da un ritmo coinvolgente; sono gli anni più ricchi per i titoli di testa, tanto attesi e amati, basati su temi musicali che trascinavano grandi e piccini. Gli stessi compositori musicali di WandaVision si sono espressi su Entertainment Weekly a proposito del declino che i motivi sonori a inizio serie hanno avuto dagli anni ’80 in su. “Era il loro periodo di massimo splendore, […] erano ballate e toccanti. È stato divertente mettere un po’ di emozione in quello che abbiamo fatto” dichiarano in merito alla canzone composta per l’episodio in questione.

Nel sesto episodio viene intenzionalmente saltato un decennio che non è particolarmente caratterizzato da sitcom di stampo familiare, come Friends e Will & Grace, tema che invece resta preponderante nella narrazione della serie e per questo tenuto in auge grazie al centrale omaggio fatto alla struttura di Malcom in the Middle (che gli italiani non faranno fatica a ricordare semplicemente come Malcom). Una sigla sovversiva e caotica che presenta i personaggi su note rock
and roll, riprese e inquadrature atipiche per l’epoca che si servono dello “split diopter shot”, ovvero di una lente che permette la messa a fuoco del primo piano e dello sfondo in egual misura, ragazzi che si rivolgono direttamente alla spettatore oltrepassando la quarta parte (vale a dire quel muro immaginario contrapposto fra il pubblico e lo spettacolo); questo è Malcom ed è anche, ammirevolmente, la sesta punta di WandaVision.

Le ultime puntate ci scaraventano negli schemi a cui siamo già abituati in show come Modern Family e The Office, nei quali la quarta parete che creava un velo di distanza fra il reale e l’immaginario viene abbattuta definitivamente, con i personaggi che guardano in macchina e utilizzano la formula dell’intervista rivolta alla telecamera come espediente narrativo per far evolvere la storia verso l’intimità individuale e la razionalità, sintomi dell’avvicinamento alla realtà che si cela dietro la costruzione di questa grande e mista sitcom.

Una cosa è certa, la MCU, quando vuole, sa come sorprendere e ammaliare. Dietro una struttura pensata ed elaborata nei minimi dettagli per emulare stili televisivi di decenni differenti, fa capolino un’importante e decisiva parte incastonata nel mondo Marvel, raccontata con maestria e ingegno; non semplice ma anche per questo, avvincente e suggestiva.

“Una serie ispirata ai grandi classici tra le sitcom di una volta e caratterizzata dall’epicità dei film Marvel.” Parola di Kevin Feige.

Grazia Battista

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