Viaggio nel cinema di Renzo Montagnani: alla riscoperta di un grande attore

Il grande Renzo Montagnani, classe 1930, rimane indelebilmente legata alla commedia sexy, branca della commedia all’italiana, oggi ampiamente rivalutata. Ma il “nostro” ha avuto anche le tanto meritate esperienze nel cinema “impegnato” dalle quali è uscito ampiamente vincitore, grazie al suo poliedrico talento, in grado di spaziare parimente in tutti i generi e in tutti i registri interpretativi.

INTRODUZIONE. Montagnani, era anche amatissimo dal pubblico, da quel pubblico che ha fin da subito intuito che dietro la bonaria figura del libertino, imbranato e pasticcione si celavano doti umane soppresse, anzi compresse all’interno della beffarda fisionomia dell’italiota gaudente, con ruoli grotteschi di commendatori, militari, nobili decaduti tutti diversi tra loro ma accomunati da una tessitura fatta di pressapocaggine, cialtronaggine, pavidità, opportunismo, facendo trasparire bonarietà, arguzia, umanità che erano le doti migliori di Renzo. Senza alcun dubbio, anche in seguito alla rivalutazione che la commedia sexy ha ricevuto negli ultimi decenni, rimane un attore completo, uno dei migliori del panorama cinematografico nostrano. Si sa, un vero attore deve saper fare tutto: ruoli comici, drammatici, deve riuscire a far ridere se sta interpretando una commedia, deve far commuovere se la parte in questione lo richiede. Renzo Montagnani da questo punto di vista è stato tra gli attori più poliedrici, la sua carriera ha ricoperto tutti gli spazi disponibili nel firmamento dello spettacolo.

Per una biografia completa, rimando ad un mio saggio scritto qualche tempo fa, che potete trovare al seguente link:.

In questa sede invece, poniamo lo sguardo esclusivamente sul lato cinematografico, tralasciando le motivazioni alla base di alcune scelte artistiche dell’attore, legate a svariate vicissitudini familiari, ormai ben note. Renzo ha interpretato oltre 80 film, tra il 1961 del suo debutto , con I sogni muoiono all’alba, di Indro Montanelli e il 1992 di Zuppa di pesce. Il suo periodo d’oro può essere ricompreso nel decennio che va dal 1975 al 1986, periodo nel quale ha interpretato la maggior parte dei suoi film. In mezzo a tante pellicole, come per tutti gli attori, salgono alla ribalta un certo numero di pellicole che si evidenziano rispetto alle altre, e in alcuni casi rasentano il capolavoro. In questa selezione dei suoi “best films”, vedremo una giusta commistione di generi, dalla commedia sexy al cinema impegnato; dal registro comico a quello drammatico. Questo perché anche nel genere comico, il talento di Montagnani fuoriesce in tutto il suo splendore, e anche nel genere della commedia sexy, ci sono pellicole da salvare e meritevoli di riconsiderazione.

Nei prossimi mesi tratteremo anche altri due settori, nel quale Montagnani ha saputo evidenziarsi.

Il primo è quello teatrale, vedremo le migliori performance di un Montagnani eccezionale, utilizzato nella prosa “impegnata”, con testi “alti” come Shakespeare, Svevo o Miller. E’ proprio nel teatro che Renzo ha avuto le possibilità “evolute”, che al cinema sono arrivate con il contagocce. Spesso la Rai ha immortalato queste performance, realizzandole nei suoi studi, trasmettendole con grande successo sulla Prima Rete Nazionale. Parliamo di testi come L’acqua cheta, Gallina vecchia e soprattutto Il crogiuolo, dal testo drammatico di Arthur Miller, performance drammatica e strepitosa del nostro attore.

Il secondo settore tratterà la sua esperienza in televisione. Renzo Montagnani, ha infatti fatto moltissimo, come intrattenitore e come conduttore. Quì analizziamo il suo personaggio principale, quello rimasto nella memoria collettiva, ovvero Don Fumino. Sanguigno e verace prete dei colli toscani, protagonista dapprima nello show Ci vediamo lunedì, nel 1983, dove peraltro Montagnani vinse un meritato Telegatto; e poi trasportato nella sit-com, dieci anni più tardi, in epoca nella quale questo particolare genere andava molto di moda. 26 episodi di Don Fumino, trasmessi su Rai Uno, che diedero tante soddisfazioni a Renzo Montagnani, e la possibilità di arricchire la sua già importante carriera.

La “stella” dedicata a Renzo Montagnani a Cinecittà.

IL “MEGLIO” DEL CINEMA DI RENZO MONTAGNANI

Procediamo in ordine cronologico, nei suoi “best films”, ricordando che ogni giudizio è ovviamente soggettivo, e può non corrispondere con i gusti di chi legge. Più che altro è un’indicazione, per riscoprire e godere al meglio le gesta di un attore come Renzo Montagnani, che merita di non essere scordato e di essere ricordato nel novero dei grandi interpreti del nostro cinema e del nostro spettacolo.

UN THRILLER MOLTO PARTICOLARE. Dopo aver interpretato almeno 20 pellicole in poco più di un lustro, Renzo Montagnani è ingaggiato, dal regista Francesco Mazzei, come protagonista assoluto, per un insolito thriller-giallo dalla connotazione religiosa, dal titolo L’ARMA, L’ORA, IL MOVENTE (1972) . Montagnani è impiegato in un ruolo per lui non convenzionale ma decisamente adatto, ovvero quello del commissario Boito, impegnato nel difficile caso dell’omicidio di un prete, che aveva addirittura due amanti. Del giallo, ben diretto e ben interpretato, colpisce l’ambientazione rurale, contadina; ma soprattutto la storia, non tratta di psicopatici in senso stretto ma, al contrario, colloca al fulcro della vicenda, una plausibile per quanto sconveniente vicenda di sesso “in confessionale”, tratteggiando l’ambiente religioso come represso e devastato dai sensi di colpa (esemplare al riguardo la sequenza con le suore in auto flagellazione). Il film uscì nel 1972, in pieno periodo argentiano, spopolavano infatti i thriller, quelli con i killer di nero vestiti che nottetempo attraversano vie isolate delle città italiane muniti di cappello, guanti  (neri anch’essi) e coltelli a decine. Quì, molto bravo il regista, l’elemento thriller, si inserisce all’interno di una commedia, che mano a mano sale di livello e di pathos, fino all’apoteosi del finale, tragico e gradevole nello stesso tempo, dove un magnifico Montagnani, commissario motorizzato, in Chiesa, in atto di contrarre le nozze con Orchidea (una incredibilmente sexy e perfida Bedy Moratti, sorella di Massimo) è destinato ad apprendere, complice un piccolo gatto nero che fa tanto Edgar Allan Poe, una tragica e inimmaginabile verità. Verità che si chiude sulle note della struggente melodia Vent’anni, composta da Francesco De Masi e destinata ai titoli di coda. In conclusione un giallo che esula dai cliché del genere, interessante e meritevole di essere rivalutato in considerazione della sua unicità, nonostante all’epoca non riuscì ad ottenere la meritata ribalta.

NUMBER ONE: IL RITROVATO CAPOLAVORO “MALEDETTO” DI GIANNI BUFFARDI. Ritenuto scomparso fino ai primi mesi del 2021, l’instant-movie NUMBER ONE, ha ritrovato la luce grazie al restauro compiuto dal Centro Sperimentale di Cinematografia, venendo proiettato per la prima visione assoluta, dopo l’uscita in sala del 1973, alla 39esima edizione del Torino Film Festival, il 27 novembre 2021. Un film politicamente scomodo, duro e violento, che all’epoca venne fatto sparire subito dalla circolazione. Rimane però una commedia all’italiana, di quelle più vere, oseremmo dire di “denuncia”, cruda e amara. Il tutto si basa sulla storia dell’omonimo night romano e sulle notti segrete del jet-set internazionale nella Roma degli Anni ’70. Il club Number One nel 1971 fu al centro di un grosso scandalo per un giro di cocaina, nel quale furono coinvolti molti nomi del jet-set internazionale. La narrazione che viene fatta è quindi il racconto della vita notturna modaiola e festaiola della Roma di quel periodo, una stagione caratterizzata dalla presenza di servizi segreti deviati, pressioni politiche internazionali, criminalità organizzata e dalla Banda della Magliana. Number One film rappresenta quindi una fotografia di una Dolce Vita diventata ormai Mala Vita. La narrazione che è stata fatta nella pellicola del 1973 è risultata essere fin troppo scomoda, addirittura i riferimenti a personaggi molto noti per la cronaca del tempo, sono volutamente ben riconoscibili. Non stupisce quindi che la pellicola sia sparita immediatamente dalla circolazione: troppo vivo il ricordo del vero Number One, il night più in voga di Roma. Ma, soprattutto, troppo potenti i personaggi coinvolti. Le sorti del film sono spacciate: della pellicola si perdono le tracce. Tante verità scomode gettano ombre sulle luci della Dolce Vita, che nei primi anni ’70 inizia a trasformarsi nella malavita da romanzo criminale della Capitale. Il critico Tatti Sanguineti, nel suo intervento a margine della “nuova” rinascita del film, ci dà una suggestiva e probabilmente veritiera, versione del mondo descritto dalla pellicola: “Number one, si fa carico di descrivere quel periodo della Roma degli anni ’70, in cui gli scandali legati al mondo della droga venivano costruiti, dopo l’arresto del nostro amato Walter Chiari nel 1970, ad arte – anche per distogliere lo sguardo da altri e ben più gravi fatti, in primis la strage di Piazza Fontana”. Questo film di denuncia è l’unico diretto da Gianni Buffardi, marito, negli anni ’50, di Liliana De Curtis e dunque genero di Totò di cui produsse alcuni film, morto nel 1979 a 49 anni per leptospirosi dopo un bagno nel Tevere. Quì Renzo Montagnani veste i panni del protagonista, un commissario di Pubblica Sicurezza che indaga sulla morte sospetta di una giovane donna. Ben presto i collegamenti con il Number One si fanno sempre più fitti con misteriosi furti di quadri, inquietanti omicidi e un mondo sempre più corrotto, legato al jet-set romano e al mondo dello spettacolo. La sua interpretazione è perfetta: seria, autoritaria, degna dei testi migliori interpretati da Montagnani in teatro. Resta nella sua filmografia una delle pellicole più importanti, come ha avuto modo lo stesso Renzo di evidenziarlo nel corso di alcune interviste televisive. Perché poi, il film venne subito ritirato dalla circolazione, ma sui giornali se ne parlò tanto, proprio per l’input di denuncia sociale che Buffardi aveva messo in campo. Erano gli anni dei film “scomodi”, che facevano tanto parlare di sè, per un breve periodo, e venivano subito ritirati. Basti ricordare, ad esempio l’altrettanto scomodo Vogliamo i colonnelli, film di Mario Monicelli, con Ugo Tognazzi, dove si descrive la storia “segreta” del golpe tentato dall’ex generale Junio Valerio Borghese, nel dicembre del 1970.

«Number One», riecco il film cult sull'altra faccia della Dolce vita

IL VIZIO DI FAMIGLIA: CAPOSTIPITE DI UN GENERE DESTINATO A FARE EPOCA. Meglio andò qualche anno dopo con il capostipite assoluto della commedia sexy all’italiana, ovvero IL VIZIO DI FAMIGLIA (1976), il primo felice incontro di un’accoppiata destinata a fare la storia del genere. Parliamo di Renzo Montagnani ed Edwige Fenech, che da questa pellicola in poi lavoreranno insieme in oltre 10 film. Racconta la stessa Fenech: “Ogni volta che chiedevo al produttore o al regista chi sarebbe stato il mio partner sul set, e mi rispondevano Renzo, mi sentivo molto più a mio agio, un vero gentiluomo. Poi le sue battute erano esilaranti, mi dovevo sempre rifare il trucco per il troppo ridere”. Tornando al film, è quello che delinea i tratti comuni del genere: il canovaccio narrativo segue un percorso dove le donne sono belle, disinibite e pronte a far sfoggio delle proprie grazie non lesinando parsimonia; mentre gli attori brillanti di turno, fra frizzi e lazzi donano brio comico alla pellicola. Altro elemento abbastanza comune è l’anziano benestante non in perfetta salute, del quale parenti vicini e lontani si ricordano solo per essere menzionati nel testamento. Da questo film, terzo incasso della stagione, il genere prende il sopravvento con tanti derivati, più o meno interessanti. Rimane dunque un lavoro socialmente importante, perché destinato ad aprire una strada, ovvero quella della contaminazione tra l’elemento soft-hot e la commedia brillante. Lo stesso Montagnani, attore top del genere, ben più talentuoso e importante del genere stesso, non ha mai rinnegato tali film. Anzi, ebbe modo, nel corso di una intervista televisiva, di apprezzare tale genere: “Scoprire di poter far soldi facendo ridere la gente, è stata una sorpresa anche per me! E non rinnego niente: del mio lavoro mi piace proprio il mio lavoro. Un giorno chiesi al mio agente il rendiconto di sette film del genere che avevo interpretato e mi sentii rispondere che avevo 35 milioni banca. Perché non avrei dovuto continuare su quella strada?”.

Il vizio di famiglia (1975) | il mio vizio e' una stanza chiusa
Immagine di scena tratta dal film Il vizio di famiglia.

TRA COMICO E DRAMMATICO: DUE ESEMPI DEL TALENTO POLIEDRICO DI RENZO MONTAGNANI. Arriva il 1977, anno decisamente importante per l’attore toscano, caratterizzato ancora sì dalla commedia sexy, ma affiancati da prodotti decisamente riusciti. Nel mese di maggio Renzo è impegnato nella divertente commedia di Giuliano Biagetti, dal titolo L’APPUNTAMENTO, reclamizzato nell’estate 1977 come “il film più fiorentino del Ponte Vecchio”, perché girato nella “sua” Firenze. Questa pellicola è ben diretta, con un ritmo abbastanza spigliato e in parte si rifà al classico Un provinciale a New York. Quì infatti, al buon Montagnani in uno dei suoi ruoli migliori, ne capiteranno di tutti i colori, impegnato in una bella storia sui contrattempi della vita quotidiana. Il film dello spezzino Biagetti ha dunque la struttura di una commedia sexy, ma la sostanza di una commediola amarognola che sembra scappata da una costola, o meglio da una falange podale, di Amici miei. Infatti, l’erotismo è confinato alla sfera del sogno e della fantasia e gli oggetti del desiderio, che pure vi sono (Barbara Bouchet, Orchidea De Santis), rimangono tali e non concedono niente di quanto avevano ed avrebbero concesso in altre pellicole apparentemente simili. Qui emergono gli umori fiorentini grazie ad una prestazione mattatoriale, eppure controllata, di Renzo Montagnani, autore di sogni sessuali mostruosamente proibiti e sempre pronto, al crepuscolo della giornata, a rifugiarsi nel tranquillizzante tran tran familiare. Bellissimi gli scorci di Firenze, con una sortita di Renzo Montagnani e Barbara Bouchet in Piazza della Signorìa.

Tra una commedia sexy e l’altra, Renzo interpretava anche pellicole di ben altro spessore. Subito dopo la fine delle riprese del lavoro “fiorentino”, lo troviamo impegnato nel drammatico DOVE VOLANO I CORVI D’ARGENTO, di Piero Livi. Il dramma della pellicola è incentrato sulla violenza e il banditismo che hanno dato triste fama alla bellissima terra di Sardegna. La storia tenta di spogliare da ogni alone romantico un brigantaggio che non trova più scusanti nella miseria, nella povertà e nell’emarginazione sociale. Il quadro del racconto è brutale, ma non per questo meno verosimile, scendendo a fondo nelle psicologie dei personaggi. Dicevamo “verosimile”, perché questa trama che si dirama tra mafia e vendetta, è ancora oggi attuale, e lo era soprattutto in quegli anni, in una società invasa da mille problematiche di ordine sociale, mafioso e delinquenziale. Un film serio, ma con un velo di speranza: quella di un giovane pastore diventato operaio a Milano (Corrado Pani), che torna in Barbagia, al paesello perché gli è stato ucciso il fratello, implicato in una storia di mafia e vendetta. Rinuncia a vendicarsi, come vuole la tradizione mafiosa, persino quando il cognato Maineddu, Renzo Montagnani, splendido in questa parte drammatica e ricca di sfumature, fa prigioniero il colpevole; consegnando l’autore del delitto alle autorità. Lo stesso Maineddu, arricchitosi fungendo da tramite con la mafia imperante a Sassari, viene assassinato sotto gli occhi di Istevene/Pani, proprio in seguito alla consegna del colpevole ai carabinieri, scambiato come un gesto di tradimento. Neanche in questo caso Istevene recede di un passo, anzi trova la forza di rompere la spirale di violenza, aggregando più gente possibile verso il cambiamento e la rinascita. Una storia di onore e di vendetta, dal finale ottimista, raccontato e recitato molto bene. Le parole più significative, quelle chiave del film, sono recitate dal prete in chiesa: “La miseria e l’ignoranza è l’origine dei vostri lutti, dove non c’è amore regna l’odio e la violenza”. Un film, misteriosamente, quasi del tutto dimenticato oggi, eppure è un vero e proprio gioiello nella carriera cinematografica di Montagnani.

I film della Pollanet Squad - Dove volano i corvi d'argento (1977)

LA GIACCA VERDE: LA PIU’ BELLA ESPERIENZA “IMPEGNATA” DI RENZO MONTAGNANI. Arriva il 1978, precisamente nell’afosa estate di quell’anno arriva a Renzo una di quelle proposte che non si posso rifiutare. Si reca a Trieste, era più o meno la prima decade di luglio. Si incontra con Franco Giraldi, intenzionato a scritturarlo per il ruolo del protagonista nel film LA GIACCA VERDE, dal libro omonimo di Mario Soldati, che sarà anche supervisore del film stesso. A detta di molti questa sarà la migliore interpretazione della carriera di Renzo Montagnani, quella memorabile del personaggio Romualdi, timpanista che si finge un grande direttore d’orchestra tra gli abitanti di uno sperduto paesino abruzzese durante la seconda guerra mondiale. Il film è una produzione italo-francese interpretata tra gli altri da Jean-Pierre Cassel, Senta Berger e Vittorio Sanipoli e nasce con la duplice intenzione di proiettarlo nei cinema e in televisione. Tuttavia per vederlo sugli schermi italiani bisognerà aspettare addirittura l’estate del 1980. Le doti di grande attore di Renzo Montagnani verranno celebrate dallo stesso Soldati: “è il mio miglior film. Interamente mio, ma nello stesso tempo interamente di Giraldi. Renzo e Jean-Pierre sono stati sublimi, e rileggendo oggi il romanzo, effettivamente allora, quando l’ho scritto pensavo alle loro facce e alle loro movenze”. A questo punto val la pena enunciare in breve la trama, che narra di un celebre direttore d’orchestra di nome Salvini (Cassel), che si trova in imbarazzo a dirigere il timpanista Romualdi (Montagnani), che aveva conosciuto ai tempi della lotta partigiana. Romualdi, allora, si spacciava per un famoso direttore d’orchestra, e Salvini gli aveva giocato uno scherzo crudele per godere delle grazie di un’ex diva del regime. Ma vent’anni dopo le parti si invertono e sarà il timpanista a giocare un brutto scherzo al direttore d’orchestra, in un gioco crudele e sottile di perfida efficacia. Anche la critica che pure era sempre stata molto clemente con il Montagnani attore, imputandogli soltanto il fatto di accettare prodotti inferiori al suo talento, ebbe stupende parole di elogio per la sua memorabile interpretazione:

“Rispettoso come si dichiara della letteratura, Giraldi si è accostato al racconto di Soldati con scrupoloso spirito di aderenza, anche se si è logicamente permesso qualche libertà. (…) Ne hanno tratto evidente beneficio le psicologie dei personaggi, che risultano delineate con felice precisione, e seguite nel loro sviluppo con una finezza di autentico sapore, trovando piena rispondenza da parte degli interpreti: un sobrio, sensibile, umanissimo, perfetto Montagnani.”

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Renzo Montagnani, in quello che è il suo capolavoro: la magistrale interpretazione di un timpanista nel film “La giacca verde”(1978/80), tratto da un racconto di Mario Soldati. Qui in scena con l’altro protagonista del film, Jean-Pierre Cassel.

E in effetti, La giacca verde rimane un film che rasenta il capolavoro, pieno di sfumature, non banale, pulito ed ordinato. Ebbe anche un ottimo successo di pubblico, al quale contribuì non poco l’apporto delizioso di Montagnani, che non ha mai recitato così bene, come in questa ottima riduzione diretta da Franco Giraldi. Lo stesso regista a lavoro finito disse: “Il succo della storia, che è poi il pensiero di Soldati, è che nessuno di noi è sempre piccolo: tutti noi, anche solo per un breve momento della nostra vita, abbiamo l’occasione di essere qualcosa di grande. E la cosa incredibile è che questo concetto si adatta benissimo allo stesso Montagnani: con ‘La giacca verde’ lui raggiunge il massimo delle sue doti attoriali avendo poi la soddisfazione di vedersi riconosciuti quei meriti a cui tanto aspirava”. E grazie proprio a questo film, Renzo ottenne un’enorme soddisfazione. Presentato nel luglio 1979 alla rassegna cinematografica di Taormina, viene acclamata con scroscianti applausi la sua interpretazione del misterioso e cupo timpanista, che gli varrà tra l’altro la nomination come “migliore attore protagonista” ai David di Donatello di quello stesso anno.

DA UN SET ALL’ALTRO: IL 1979, OVVERO L’ANNO PIU’ FRENETICO DI RENZO MONTAGNANI. Il 1979 sarà forse l’anno più frenetico della carriera di Renzo, ormai pienamente acclamato dal pubblico e “riscoperto” dalla critica. Per nominare ancora qualcosa di “diverso”, non male RIAVANTI, MARSCH! film cameratesco di Luciano Salce, reduce dagli strepitosi successi fantozziani. In bilico tra commedia malinconica e ricercata e inserti da commedia sexy (Anna Maria Rizzoli, appare spesso come incubo “cornificatorio” del marito Aldo Giuffrè), si dice che l’idea del film sia stata suggerita a Salce da Amici miei: è la storia infatti di un’allegra combriccola di ex commilitoni che viene richiamata alle armi per testare un nuovo missile, combineranno scherzi di ogni sorta sia in caserma che in libera uscita. Il quintetto di protagonisti è composto da Alberto Lionello, Carlo Giuffrè, Stefano Satta Flores, Aldo Maccione e ovviamente il nostro Renzo Montagnani, che poi è quello che ha il personaggio meglio delineato psicologicamente, quello più ricco di sfumature, infatti risulta più defilato rispetto al resto del gruppo. Il suo personaggio, di ritorno nel luogo del misfatto “venti” anni dopo, dovrà vedersela con il sospetto che una giovane, bella e disinibita ragazzina di 20 anni esatti, possa essere sua figlia, perché frutto della relazione con il suo amore di gioventù. Qui Renzo, impiega tutte le sue sfumature interpretative, regalandoci una performance più pacata e meno goliardica.

Goliardìa che è l’elemento principe di DOVE VAI SE IL VIZIETTO NON CE L’HAI? ritorno alla commedia sexy, ma in grande stile. Non è improprio dire che probabilmente si tratta della migliore commedia del genere e soprattutto che si tratta di un grande film comico. Perché poi, se il film nasce come comico ed effettivamente ti porta alle risate, perché denigrarlo per partito preso? E infatti il film viene considerato da un critico severo come Mereghetti, “una delle commedie erotiche più divertenti e audaci del cinema italiano”. Qui, Montagnani e Vitali sono una vera e propria coppia comica, nei panni di due imbranati investigatori privati, che devono tenere d’occhio il ricco marito della loro cliente, perché sospettato di tradimento. Si travestono, uno da cameriere gay, l’altro da cuoca per indagare meglio, scoprendo gli altarini di tutti e concedendosi anche alcune scappatelle extraconiugali. Il film si segnala anche per alcune gag meta-cinematografiche di Montagnani il quale commenta “sembra di essere in un film porno” mentre è a letto con Paola Senatore ( in seguito attrice hard) o Vitali che viene continuamente paragonato all’attore americano Dustin Hoffman. Incassi altissimi: terzo della stagione.

Dove vai se il vizietto non ce l'hai (1979)

Lo stesso anno Renzo è monumentale, in un film non eccezionale, nel prendere in giro amabilmente se stesso e la stessa commedia sexy. In SCUSI LEI, E’ NORMALE? parodia del Vizietto dell’amico Tognazzi e di Serrault, interpreta la parte di un pretore che ha avviato una dura campagna moralizzatrice, prendendo di mira – e facendo quindi sequestrare – pellicole e luce rossa e manifesti pubblicitari con donne nude. Sembra quasi il figlio del censore fellinano, interpretato da Peppino De Filippo ne Le tentazioni del dottor Antonio, diciassette anni prima. Il film può essere registrato come opera minore, però è divertente e scorrevole, e soprattutto è una prova lampante del fatto, che la stessa commedia sexy, sia a tutti gli effetti classificabile nella commedia all’italiana. Ce ne dà prova un’intervista rilasciata dal regista Umberto Lenzi, il quale parla del fatto che fosse un progetto ambizioso, rallentato però da alcune imposizioni tipiche dell’epoca e di chi finanziava l’impresa:

Sapete perché non ne voglio parlare? Perché ho commesso due errori di inesperienza. Se io tagliavo due o tre cose volgari che mi furono imposte dal produttore e che andavano nella commedia popolare del tempo, il film sarebbe stato meglio de Il vizietto. C’era la scena di un ragazzo che si masturbava dietro una porta e qualche parolaccia di troppo che sinceramente si potevano evitare. Per dimostrare come rimanevo sempre fedele alla storia, anche in quella occasione mi ispirai alla cronaca; il fatto di quel pretore era vero. In quegli anni ci fu una vera e propria campagna contro il sesso e la pornografia. Quel film era molto nelle mie corde ed era polemico contro la magistratura e la censura. Rivedendolo, a distanza di anni, devo dire che però era molto carino. La scena in cui Montagnani balla con Cerusico nel finale è spassosissima e anche Lovelock fa un bel personaggio. Non mi pento di averlo fatto, al di là di qualche cosina che avrei dovuto ripulire.

La riscoperta del genere nasce da queste affermazioni e anche da quelle di una celebre attrice statunitense, Sally Struthers, che intervistata circa le numerose scene di nudo, tipiche dei film anni ’70 e ’80, denunciò una certa morale bigotta per cui “se in un film si vede un uomo tagliare a pezzi il seno di una donna, il film viene semplicemente classificato come adatto ad un pubblico adulto, ma se, Dio non voglia, si vede un uomo baciare il seno di una donna, il film viene classificato come pornografico. Perché la violenza è più accettabile della tenerezza?

Lo stesso Montagnani, in fondo, non ha mai denigrato la scelta di essere impiegato in pianta stabile nella commedia sexy, ritenendo molto più difficile far ridere con tette e culi al vento, che recitare con la giusta intonazione e il giusto registro drammatico, un testo di Shakespeare, di Pirandello o di Miller. Nel corso di un’intervista concessa a Raffaella Carrà nel 1994, in seguito allo strepitoso successo ottenuto con la sit-com Don Fumino, Renzo ripercorre la sua carriera cinematografica ponendo l’occhio sull’elemento “comicità”, dichiarando che la sua fonte ispiratrice sono stati i cartoni animati: “Quando faccio il comico, penso ai cartoni animati, a cose belle che non si rompono mai. Anche la gestualità è molto importante. Infatti la mia è una comicità che è quella dei cartoni animati: la ripetizione di un gesto, di un tormentone, di un suono hanno dei forti connotati comici”.

renzo montagnani

LE ULTIME COMMEDIE SEXY, PRIMA DELLA “SVOLTA”. Arriva il nuovo decennio e Renzo Montagnani interpreta una delle ultime commedie sexy, prima della svolta “impegnata” dettata anche da un certo calo dei consensi del genere e da un mutamento dei gusti dello stesso pubblico. Nel 1980 prende parte alla notissima commedia LA MOGLIE IN VACANZA…L’AMANTE IN CITTA’, diretto da Sergio Martino e girato tra Parma e Courmayeur nel mese di febbraio. Al fianco di Montagnani nel film, ci sono Lino Banfi, Edwige Fenech, Barbara Bouchet e Tullio Solenghi: i massimi specialisti del genere. E’ la storia di un ricco industriale di insaccati che, su pressione dell’amante, spinge la moglie a partire da sola per Courmayeur assicurandole di raggiungerla entro breve tempo. La donna ha però a sua volta un amante: ne nascerà così una commedia degli equivoci spassosissima, di grande effetto comico. Quella de La moglie in vacanza…l’amante in città, rimane un tentativo riuscito di alzare il tono della commedia sexy, quì più debitrice del solito del teatro boulevardier: pochissimi nudi, nonostante la presenza congiunta della Fenech e della Bouchet, più equivoci e gag alla Feydeau, con Montagnani e Banfi trascinatori assoluti della pellicola. Lo stesso Banfi, che con Renzo ha lavorato in moltissime pellicole, ha sempre ricordato piacevolmente quei momenti sui set: “In questo film ci divertimmo moltissimo. Eravamo in trasferta in montagna, in Valle d’Aosta se non erro. Faceva freddissimo, però ci scaldavamo sul set, ridendo a crepapelle. Improvvisavamo, come si faceva sempre in quei film, e spesso smettevamo di girare per il troppo ridere. Sergio Martino ancora se ne ricorda e ogni volta che capitava di incontrarci con Renzo, ricordavamo le nostre comuni esperienze, con tante risate ed un pizzico di malinconia”.

Renzo Montagnani, Edwige Fenech: "Ha sofferto, era un orso buono.  Nonostante il dolore per il figlio con lui si rideva sempre" - Noi degli  80-90
Renzo Montagnani ed Edwige Fenech.

Riuscito appare anche IL MARITO IN VACANZA, primo dei 9 film interpretati da Montagnani nel solo 1981. Siamo agli sgoccioli della commedia sexy, però il film diverte e regge il ritmo grazie al solito Renzo, che fa girare la trama tutta attorno a sè, dominando la scena dall’inizio alla fine, con i suoi tormentoni, con la sua mimica e con la sua vis comica. E’ la storia del presidente di un fantomatico Sindacato Nazionale degli insegnanti, che convoca il convegno annuale in un lussuoso albergo. Accanto a lui si dirameranno intrighi ed equivoci di ogni tipo, con la bellona di turno Lilli Carati, ed Enzo Cannavale e Bombolo a fargli da spalla. Il film, si diceva, ruota tutto piacevolmente intorno a Montagnani, anche perché interpreta anche il fratello Cardinale, che immancabilmente verrà scambiato per il preside, alle prese con notturne pulsioni sessuali. Montagnani regna sovrano anche in un film obbrobrioso come I CARABBINIERI, accozzaglia di scenette stiracchiate e poco divertenti. Quì il nostro Renzo, ha una parte “seriosa”, quella di un Generale dei Carabinieri, che va a stridere con livello infimo del lavoro, ma che in definitiva eleva e dà dignità alla pellicola stessa. Nel mezzo c’è infatti lo splendido e struggente discorso di Montagnani, sul nobile impegno che ogni giorno mettono i carabinieri nel difendere la comunità, e sull’onorabilità del loro lavoro. Un inno al lavoro che ogni giorno svolge l’arma dei carabinieri per il bene della comunità, in un’analisi complessa e precisa, resa con grande dignità dal grande Renzo.

Recensione su Perché non facciamo l'amore? (1982) di undying | FilmTV.it
Renzo Montagnani e Barbara Bouchet.

RENZO, IL NECCHI E AMICI MIEI. Il 1982 diventa l’anno più importante della carriera di Renzo Montagnani, quello del suo definitivo riscatto cinematografico. E’ l’anno del suo ingresso nel gruppo degli AMICI MIEI. Resta memorabile, infatti la sua interpretazione di Guido Necchi in AMICI MIEI ATTO II e AMICI MIEI ATTO III (1982 e 1985), un pò la grande prova d’attore che mancava a Renzo per entrare definitivamente e meritatamente nell’olimpo del grande cinema. Ironia della sorte, anni prima si era inutilmente battuto per ottenere proprio il ruolo del Necchi o in alternativa del Perozzi nel film Amici miei (1975), ereditato da Mario Monicelli in morte di Pietro Germi, riuscendo solo ad avere il ruolo del doppiatore di Philippe Noiret, alias lo stesso Perozzi. In verità, Monicelli, che aveva spostato le scene da Bologna a FIrenze, avrebbe voluto fin da subito Renzo, tra i 5 protagonisti, ma non potè utilizzarlo fin dal primo capitolo al posto di Duilio Del Prete, perché già messo sotto contratto da Germi stesso. Si rifarà dal secondo capitolo, quando entra a pieno titolo nel groppuscolo dei burloni, sempre piu’ canuti. Forse il personaggio in cui meglio si identifico’ (“Questi siamo noi fiorentini del bar Gilli” ripeteva) e quello per il quale il pubblico lo ricorda piu’ distintamente. Sul set non sfigura al fianco di Ugo Tognazzi, di Philippe Noiret o di Gastone Moschin, anzi a tal proposito proprio lo stesso Renzo disse del film:

« Moschin, Ugo, Celi ed io vivevamo in un superclima di amicizia. Ugo è l’unico tra di noi che non ama fare gli scherzi. Io, invece, da buon toscano, mi diverto ad organizzare dei tiri a tutti »

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Da sinistra a destra la goliardica banda degli “Amici miei” nel secondo atto della trilogia di successo: Renzo Montagnani, Adolfo Celi, Gastone Moschin, Ugo Tognazzi e Philippe Noiret. Una delle ultime grandi commedie all’italiana.

Quell’anno, anche in seguito ai consensi ottenuti per il già citato  La giacca verde, Montagnani entra di diritto nell’albo dei cosiddetti “attori impegnati”. Benvenuti, De Bernardi, Pinelli e il regista Monicelli, in primavera avevano finito di scrivere il seguito di Amici miei. Già a maggio era previsto l’inizio delle riprese, e non si tratta del solito “seguito” messo su alla svelta per fare soldi, anzi si può affermare che il secondo capitolo della serie è quasi meglio del primo: sostanzialmente l’impianto narrativo è lo stesso ma le “zingarate” cambiano: gli scherzi ai poveri malcapitati sono più diabolici e la risata perversa che ne viene fuori come un singhiozzo è perfida. Se il primo era solo malinconico, il secondo diventa addirittura cinico, una giostra di cattiverie, un mondo alla rovescia inventato dalla malefica congrega di amici per svago, noia dell’esistenza, infischiandosene persino di rispettare il dolore della morte. Come già detto, la grande novità che il film porta con sé è la partecipazione di Renzo Montagnani nel ruolo del barista Necchi, in sostituzione di Duilio Del Prete. Monicelli, che sa quanto Montagnani teneva a essere tra i protagonisti del primo, offre all’attore di impersonare il Necchi nel secondo capitolo. Renzo non se lo fa ripetere due volte e colmo di gratitudine naturalmente accetta. Ufficialmente Duilio Del Prete venne sostituito perché impegnato in teatro, ma in pratica la scelta della sostituzione dell’attore, fu proprio di Monicelli, che pare abbia voluto favorire la scelta di Montagnani ben conoscendo il desiderio che l’attore aveva, sia di tirarsi fuori dal filone sexy all’italiana, sia di entrare a far parte del gruppo degli Amici miei. D’altronde, come già detto sopra, lo stesso Monicelli, fin dal primo capitolo della serie si era battuto per fargli ottenere la parte proprio del Necchi, per cui Duilio Del Prete era già stato scritturato da Pietro Germi; e quindi l’assegnazione del ruolo del barista Necchi a Montagnani, parve fin da subito una sorta di risarcimento che il regista volle dare all’amico. Si girò tra Firenze, Montecatini e gli Studi De Paolis sulla Tiburtina: essendo parte del film ambientata negli anni ’60, ciò spiega la presenza del Perozzi, ovvero di Philippe Noiret, morto nel primo film e resuscitato qui con il flashback. Negli studi cinematografici romani viene addirittura rievocata, per la prima volta nella storia del cinema, l’alluvione di Firenze del 1966: scena girata con quattro macchine da presa dove vengono impiegati centomila litri d’acqua per cinque secondi di girato. Le riprese durano fino ad estate inoltrata e registrano un affiatamento sempre crescente tra i cinque protagonisti. Il film esce per il periodo natalizio e incontra i massimi favori della critica e del pubblico, venendo giustamente celebrato come degno erede della storia originaria scritta da Germi e vedendogli riconosciuta, molto velatamente, la superiorità sul primo capitolo. E’ lo stesso Renzo ad affermare che:

“Questo tipo di film è il quotidiano che noi tutti viviamo, l’amarezza che c’è in questi signori dai capelli grigi che sentono avvicinarsi l’unica cosa certa della propria esistenza, e che devono far presto a divertirsi perché c’è poco tempo, mi commuove e mi affascina perché è la verità”.

Oltretutto la presenza di un attore del calibro di Montagnani, dà modo a Monicelli, di sviluppare pienamente la psicologia del personaggio del barista Necchi, dei 5 quello meno sviluppato nel primo capitolo, probabilmente per la poca consistenza di un pur dignitoso Duilio Del Prete.

Un estratto tratto da Amici miei atto II, dove meglio si delinea la psicologia del Necchi, grazie alla presenza del grande Renzo Montagnani.

Tre anni più tardi esce il terzo capitolo della serie, le riprese sono previste anch’esse tra la tarda primavera e l’inizio dell’estate, ma già in gennaio proprio Renzo si lascia scappare che a breve rivestirà i panni del Necchi:

“Gli sceneggiatori Benvenuti, De Bernardi e Pinelli sono già all’opera per l’ultimo capitolo dell’ormai saga di Amici miei. Saremo diminuiti di numero, perché non possiamo resuscitare un morto una seconda volta”. [n.d.r. il riferimento è al personaggio del Perozzi interpretato da Philippe Noiret, morto nel primo capitolo e riapparso nel secondo utilizzando la strategia del flashback]

Il primo luglio iniziano le riprese di Amici miei-atto III, ma questa volta a dirigere il film non c’è però Monicelli, bensì il suo collega Nanni Loy. Originariamente il film avrebbe dovuto chiamarsi Amici miei- ultimo atto, ma si è preferito lasciare aperta una possibilità di un ulteriore seguito, cosa che non sarebbe poi comunque avvenuta: Adolfo Celi morirà due mesi dopo l’uscita del film nelle sale, ovvero nel febbraio 1986. “Una cara persona,– dirà Renzo- mi adorava perché lo portavo a mangiare in dei posti fantastici”. Il film di Loy vede l’ormai quartetto di amici alle prese con scherzi e zingarate da comicità demenziale, ma comunque efficace. Efficace perché tutti e tre i film della serie, sono uguali, ma profondamente diversi. Se nel primo atto la riflessione sulla vita e sulla morte era vista con occhio malinconico e nel secondo addirittura cinico, qui si sfiora il grottesco e la trivialità. Non mancano i momenti felici, ovviamente, su tutti l’affiatamento dell’ormai corpulento quartetto di attori. L’ambientazione è quasi a scena fissa dentro Villa La Loggia, sempre a Firenze, quì trasformata per l’occasione in una casa di riposo dove a poco a poco, gli amici si ritrovano a esserne gli stagionati ospiti, portando scompiglio e zingarate a volontà. Celebre la scena del viaggio al Polo Nord, condotta con toni grotteschi, vagamente malinconici. Quando il film esce nelle sale per il periodo natalizio è un successone, e permette per esempio, a Gastone Moschin di vincere un Nastro d’argento per l’interpretazione dell’architetto Rambaldo Melandri.

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Ancora una foto di scena tratta dal secondo capitolo di “Amici miei”, il primo dei due con Renzo Montagnani.

LA DEFINITIVA STERZATA NEL CINEMA “IMPEGNATO” E LA VITTORIA DELLA “MASCHERA D’ARGENTO”. Il secondo e il terzo capitolo della serie degli Amici miei permettono a Renzo di defilarsi definitivamente dal genere della commedia sexy, e di affermarsi anche al cinema, come attore impegnato. D’altronde nel periodo, non ci sono soltanto le avventure dell’allegra banda fiorentina di mezz’età, ma anche film d’autore come GIOCARE D’AZZARDO, diretto da Cinzia Th. Torrini; e SCHERZO DEL DESTINO IN AGGUATO DIETRO L’ANGOLO COME UN BRIGANTE DA STRADA di Lina Wertmuller, entrambi del 1983.

“Quel 1983 rappresentò per me un anno importante: diedi una sterzata a quei film che tanti m’hanno rimproverato che io però non ho mai rinnegato”.

Il primo film, Giocare d’azzardo, composto e drammatico esordio di Cinzia Th. Torrini dietro la macchina da presa, vede Renzo Montagnani impegnato nella parte di un marito, che deve tenere a bada la moglie, Piera Degli Esposti, affetta da ludopatia cronica. Girato in una Firenze tetra e notturna, la pellicola viene presentata alla 39esima edizione del Festival di Venezia dove riscuote una notevole considerazione tanto da esportarla con successo anche all’estero. I protagonisti, Montagnani e la Degli Esposti, verranno acclamati da pubblico e critica, confermando in pieno il meritato “riscatto” cinematografico del nostro Renzo: “Piera Degli Esposti e Renzo Montagnani, nei ruoli maggiori, danno quì il meglio della loro esperta, sobria sapienza espressiva. L’una e l’altro, giocando d’azzardo, si acquistano la nostra simpatia e il nostro interesse”.

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Ugo Tognazzi, Roberto Herlitzka e Renzo Montagnani in una scena del film “Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada”, di Lina Wertmuller.

Poi c’è il film della Wertmuller, dal solito titolo chilometrico, che presentava un cast di primissimo ordine, in parte riciclato dal secondo capitolo di Amici miei: ci sono infatti Ugo Tognazzi e Gastone Moschin, oltre che Piera Degli Esposti ed una giovanissima Valeria Golino. Renzo impersona uno spiritosissimo funzionario della Digos in una storia decisamente ingarbugliata che vede il ministro Moschin intrappolato dentro un’auto ministeriale inceppata, ferma davanti la casa del suo più ostracizzato politico, l’onorevole Tognazzi. Da quì la trama si dipana mettendo in scena situazioni bizzarre e divertenti. Una presa in giro al potere politico che fece sì che la Wertmuller dovesse aspettare almeno due anni prima di poterlo girare.

Il biennio “mirabilis” per Montagnani, si conclude il 3 ottobre dello stesso anno con la vittoria della prestigiosa “Maschera d’argento” per il suo impegno artistico dimostrato nell’ultimo anno, tra cinema, teatro e televisione: un riscatto voluto e davvero meritato.

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L’ESPERIENZA NELLA COMMEDIA BALNEARE ANNI ’80. In questo “meglio” del cinema di Renzo Montagnani, possiamo anche inserire due film balneari, non tanto per la qualità, discutibile di queste pellicole, ma perché cavalca un genere di moda, che era stato sdoganato dall’enorme successo di Sapore di mare. La prima che nominiamo è STESSO MARE, STESSA SPIAGGIA, pellicola simpatica, senza pretese, con Renzo nei soliti panni di un seduttore incallito, sullo sfondo di una deliziosa e smaliziata estate italiana. Il secondo film RIMINI, RIMINI- UN ANNO DOPO, del 1988, cavalca l’onda del successo dell’omonimo precedente. E’ un film diviso in episodi distinti e Renzo è protagonista dell’episodio centrale, nei panni di un playboy di mezza età, che sta affrontando un periodo di appannamento. L’incontro e l’amore per la bella Flaminia, interpretata da una rosea Eva Grimaldi, gli farà riguadagnare la virilità perduta. L’esperienza al fianco del regista Sergio Corbucci, uno dei più importanti della commedia brillante italiana dell’epoca, rimarrà un’esperienza molto gradita da Renzo, all’alba del nuovo decennio, ancora carico di impegni artistici stimolanti e di speranze personali.

ZUPPA DI PESCE: IL SUO ULTIMO FILM. Per la verità Renzo, dedicherà gli anni ’90 alla televisione e al teatro, relegando a questo cinema ormai diverso da quello degli anni precedenti, un solo impegno. Un impegno però, molto ben riuscito. Nel 1992 infatti, è nelle sale con ZUPPA DI PESCE, film autobiografico della regista Fiorella Infascelli, che raccoglie il materiale del padre Carlo, storico produttore, regista e sceneggiatore degli anni d’oro del cinema italiano, per imbastire una trama nostalgica e malinconica sulla falsariga dei vari Nuovo cinema Paradiso e Splendor: operazioni nostalgia, molto in voga in quegli anni. Renzo si ritrova nuovamente al fianco di Philippe Noiret, dopo l’esperienza del secondo atto della saga di Amici miei e la stessa regista racconta il clima gioviale del set: “E’ stato un bel momento rivedere i due attori di nuovo insieme, dopo aver fatto Amici miei si erano persi di vista e per me è stato come ricreare una famiglia nella famiglia. Ricordo quando girammo la scena di questa tavolata dove tutti i protagonisti mangiano la zuppa di pesce, Renzo e Philippe scherzavano di continuofra un ciak e l’altro, come dei ragazzini, come dei veri amici, quali loro erano”.

Zuppa di pesce (1992) - IMDb

Come si può notare, dunque, leggendo questo piccolo saggio sul cinema di Renzo Montagnani, la carriera cinematografica dell’attore fiorentino è tutt’altro che secondaria o deprecabile come la superficialità culturale dei tempi attuali vuole far credere. Basta scavare nelle cose, per cambiare opinione e per rendersi conto, che l’appiattimento culturale che la società d’oggi tende ad avere come modello, ci fa perdere la capacità di ricercare, di capire, e di comprendere personalmente le esperienze. Detto ciò, di Renzo Montagnani rimangono tanti film, oltre a sit-com, sceneggiati, commedie teatrali: un attore poliedrico oltre ogni misura e un grande uomo ed artista da riscoprire, da amare e da ammirare.

Perché i miti non vanno scordati.

Mai.

E Renzo è uno di loro.

Domenico Palattella

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