
Anche se molte volte erroneamente relegati ai margini della storiografia e della pubblicistica cinematografica, i caratteristi costituiscono da sempre la spina dorsale della nostra numerosissima produzione filmica. Spalle di comici o interpreti di secondo piano, talvolta anonimi nell’immaginario collettivo, hanno saputo colorare con poche pennellate personaggi memorabili entrati nella storia del cinema e col tempo diventati addirittura emblematici di condizioni sociali e comportamentali: attori di serie A, quindi, anzi, come definito dal grande regista Steno, “di superserie A”, riusciti a scrollarsi di dosso l’etichetta “di serie B” . Il cinema italiano deve moltissimo a questa categoria di artisti, senza i quali molti film mitici della nostra commedia sarebbero sicuramente meno interessanti e meno capolavori di quel che sono. Insomma, il grande cinema italiano è grande anche perchè a recitare in quei film ci sono dei grandissimi attori usati in piccoli ruoli. Spesso è capitato, che la loro bravura sopraffina li ha fatti assurgere al ruolo di protagonisti, in pratica, una promozione sul campo. Uno dei casi più eclatanti in tal senso, è quello di Carlo Campanini, il più fulgido esempio di ibrido tra caratterista e primo attore: non è ancora chiaro oggi, in che categoria inserire le sue raffinate interpretazioni, di sicuro è tra i grandi del nostro cinema. Presenza fissa nel cinema degli anni ’40 e degli anni ’50, ha interpretato più di 80 film, come spalla di lusso di Totò o di Walter Chiari, o come protagonista in alcuni memorabili film entrati nella storia del cinema. Le sue innate doti di simpatia e di comunicativa uniti ad un’ incontenibile e gradevole esuberanza, ne fanno uno degli attori più popolari e amati dal grande pubblico, una presenza rassicurante e familiare. Carlo Campanini (come del resto Raimondo Vianello in coppia con Ugo Tognazzi) rappresentò anzi un genere particolare di spalla, la cosiddetta spalla-mezzo comico, un attore cioè in grado di assumersi in proprio a tempo e a luogo la responsabilità comica della situazione e di rappresentare, sulla scena, il calco al negativo del personaggio protagonista: timido, goffo, balbuziente, apparentemente più anziano della sua età, Campanini conservava un candore di fondo che lo rendeva naturalmente simpatico al pubblico. Il successo non si fa attendere: piovono per Carlo Campanini scritture su scritture dai registi più validi del cinema. Per tutti gli anni ’40 e perfino negli anni ’50, Campanini è quasi insostituibile. Gira anche dieci film l’anno, in parti importanti, tanto da farsi affibbiare l’epiteto di “prezzemolo del cinema italiano”, che dà sapore e gusto ai sapidi e deliziosi personaggi a lui affidati. E’ sempre un buon amico, presente e premuroso, pronto a dar consigli al protagonista di turno, talvolta un pò pasticcione ed imbranato, ma di gran cuore. Fin dalle sue prime apparizioni, conquista pubblico, critici ed anche registi di grande livello, come Mario Mattoli o Mario Soldati.

Tra le sue eccelse caratterizzazioni degli anni ’40 spiccano, la sua interpretazione dello studente fuori corso in Addio giovinezza, quella del bidello pasticcione, vittima degli scherzi delle studentesse in Ore 9, lezione di chimica e i ruoli di “spalla” di Totò ne Il ratto delle Sabine e ne I due orfanelli parodia del celebre dramma. E’ in questi anni che fioccano le parti da protagonista in film peraltro di un certo spessore e di un certo valore culturale: è meraviglioso nel film di Mario Soldati Le miserie del signor Travet (1945), tratto dall’omonima famosissima commedia dello scrittore torinese Vittorio Bersezio del 1863; spassosissimo nel film Partenza ore sette (1947), di Mario Mattoli, in cui interpreta il capo comico di una scalcinata compagnìa di rivista in giro per l’Italia, è irresistibile quando, insieme alla sua compagnìa viene assalito dai banditi e rimangono tutti in mutande nella notte, ed è geniale il suo fregolismo finale nei panni dei suoi tanti parenti. Il film è anche in qualche modo anticipatore di un paio d’anni dei similari Vita da cani, con Aldo Fabrizi e Luci del varietà, con Peppino De Filippo, in cui anche qui viene descritta la vita di sacrifici dei poveri guitti di provincia. Ma soffermiamoci maggiormente su Le miserie del signor Travet, un film che viene considerato quasi alla stregua di un capolavoro, e che già la critica dell’epoca ebbe modo di lodare. Su tutti resta comunque la sofferta e malinconica interpretazione di Carlo Campanini. Il critico Achille Valdata su Cine Teatro del 1º marzo 1946, n. 5, scrisse: “Il film è oggi, dal punto di vista produttivo, tecnico, fotografico, l’opera più impeccabile dello schermo italiano. Da Soldati, a De Laurentiis, a Terzano, ai minori e oscuri artefici, tutti hanno contribuito a fare di questo un film di classe superiore. Esteticamente, visivamente, siamo dunque a posto, come anche l’interpretazione di Carlo Campanini, mai sopra le righe, sempre attento alle sfumature drammatiche e amare del suo personaggio, del povero impiegato regio ottocentesco, laborioso e dignitoso. Il film resta degno di attenta considerazione e meritevole di quel successo che infatti non gli è mancato”.

Campanini si conferma anche in La primula bianca(1947), di Carlo Ludovico Bragaglia, una deliziosa commedia degli equivoci tutta centrata sulla comicità paradossale e delicata di Campanini, in quello che forse è il suo miglior film. Quì interpreta un giornalista che scopre una banda di rapinatori e il loro insospettabile capo. Finge di partecipare alle rapine e manda i servizi completi al suo giornale, firmandosi “la primula bianca”, riuscendo ad aiutare la polizia ad arrestare tutti i malviventi. Il film è condito anche da una spruzzata di sentimentalismo, che non guasta mai, ma i momenti più divertenti del film sono affidati a Campanini quando viene scambiato per un famoso e temuto scassinatore. La situazione del tipo semplice e senza grilli per la testa che si trova coinvolto in una banda di malviventi e scambiato per uno di loro dà occasione per diverse belle risate. A questo proposito, la scena della cassaforte è proprio esilarante e da antologia della risata. Per il resto, comunque, il film viaggia bene su una vicenda piena di colpi di scena, di personaggi, e di scambi di persona. A margine compare anche il tema della voracità e del cinismo del mondo della stampa, che troviamo ancor più nei film americani dello stesso periodo. Un piccolo-grande film davvero, un piccolo gioiello misconosciuto del cinema italiano.
Nella sua carriera ,”unica”, nell’oscillare tra le caratterizzazioni di lusso e le parti da protagonista o co-protagonista, negli anni ’50 Campanini è eccezionale spalla dapprima di Totò, ad esempio nel film Un turco napoletano (1953), e poi di Walter Chiari, con il quale lavorerà parecchie volte insieme, nel ruolo di spalla o co-protagonista sia al cinema che in teatro e poi anche in tv. Tra i due si sviluppa un felice sodalizio con film divertentissimi come Noi due soli o O.K. Nerone!, premiati da enormi incassi. Di rilievo anche le parti nei film I pompieri di Viggiù (1949), scintillante film sulla rivista, dove Campanini è il vero protagonista, in mezzo a tanti fuoriclasse della rivista come Totò, Nino Taranto, Carlo Dapporto e Wanda Osiris; in 11 uomini e un pallone (1948), dove è un goffo e simpatico arbitro di calcio; e in Cento anni d’amore (1954) nell’episodio intitolato Pendolin, tratto da un racconto di Gabriele D’Annunzio, in cui nel ruolo di protagonista assoluto riduce, con un interpretazione perfetta, a ruolo di spalle due pezzi da novanta come l’amico Vittorio De Sica e Nadia Gray. Negli anni ’60 le sue apparizioni cinematografiche si diradano sempre di più, e si dedicherà a pieno regime alla gestione di una compagnia teatrale piemontese. La sua grande umanità dimostrata anche lontano dalle macchine da presa, fu alla base del grande amore che il pubblico provava nei suoi confronti, potenziata anche dal fatto di essersi riavvicinato in maniera convinta e profonda alla fede, tanto da diventare uno dei più stretti devoti e amici di San Pio da Pietralcina. A Padre Pio Campanini si era accostato anni addietro, quando uno dei quattro figli gli aveva dato non pochi dispiaceri. Se la sua vita professionale fu piena e felice e di una regolarità sbalorditiva, viceversa la sua vita familiare conobbe delle ombre che lo fecero soffrire e che accentuarono il lato mistico del carattere dell’ attore torinese.Carlo Campanini è infatti sepolto a San Giovanni Rotondo, vicino al venerabile San Pio, proprio a testimoniare questa grande amicizia, questa grande devozione e la sua profonda fede religiosa. Uno degli attori italiani più amati di sempre e di tutte le età, il quale indubbiamente merita un’attenta e per nulla fugace rivalutazione. E sopra ogni cosa non merita l’oblìo del dimenticatoio nel quale rischia di cadere.

Domenico Palattella