C’è stata un’epoca in cui, tutto il mondo cinematografico era ai piedi di Roma, e in cui i nostri “divi” e le nostre “dive” erano i più invidiati del mondo.
Due date su tutte: 16 marzo 1961 e 9 aprile 1962. Cosa successe in questi due giorni?
Due date che rappresentano l’anno mirabilis del cinema italiano al femminile. Il 16 marzo 1961 Gina Lollobrigida, l’unica donna in grado di offuscare Marylin Monroe, si aggiudica l’Henrietta Award come miglior attrice del mondo per l’interpretazione del film Torna a settembre. L’Henrietta Award è un particolare riconoscimento assegnato nell’ambito dei Golden Globe, che assieme agli Oscar è il maggiore dei premi cinematografici. E a proposito di Oscar. Il 9 aprile 1962 invece, Sophia Loren si aggiudica l’Oscar come migliore attrice protagonista per La ciociara. Entrambe dunque conquistano Hollywood e vennero soprannominate le “regine di Hollywood”. Dive amatissime in America, dove in seguito ai prestigiosi riconoscimenti ottenuti, conquistano le copertine delle maggiori riviste, la Lollobrigida e la Loren, videro crescere a dismisura i fan club dedicati a loro, dalla costa pacifica a quella atlantica. La Lollo aveva poi, fatto qualcosa di curioso: il riconoscimento assegnatole era stato vinto per uno di quei classici film americani, girati in Italia, nell’epoca in cui Cinecittà era definita la “Hollywood sul Tevere”, e non soltanto per l’estrema mondanità, ma soprattutto perché l’America cinematografica si era trasferita praticamente in Italia. Al fianco di Rock Hudson, la Lollobrigida è protagonista di una deliziosa commedia a colori, che in Italia si definirebbe turistico-balneare, ambientata e girata sulla Riviera ligure di levante. Peraltro l’attrice era un habituè delle produzioni americane girate in Italia, tutto derivava da quando la Lollo, ruppe un sostanzioso contratto hollywoodiano in America, perché non convinta delle parti a lei affidate. Era il 1956. Da ciò, derivò per gli anni successivi, l’impossibilità per la Lollo di lavorare in produzioni americane girate in America, ma non in Europa, dove soprattutto in Italia, l’America cinematografica era di casa.

Sophia Loren, viceversa, ebbe un cammino più lento, ma inesorabile. E’ altresì certo, però, che quel difficile personaggio di Cesira de La ciociara è il personaggio della vita. In quel favoloso 1960 l’attrice era ormai stata pienamente lanciata dal produttore e marito Carlo Ponti e dall’ala protettiva del maestro De Sica, che come regista contribuisce in maniera determinante a forgiare il suo personaggio. De Sica era stato infatti il primo ad individuare come elemento di forza della Loren la sua napoletanità, fatta di un temperamento sanguigno, schietto e popolano, che poteva dare buoni frutti proprio se unito alla dimensione glamour che la sua immagine divistica proponeva. L’immagine della Loren napoletana di provincia, sanguigna e verace entra subito nella storia del costume italiano. Insieme al marito Carlo Ponti, De Sica sarà per la Loren, una sorta di Pigmalione e saprà esaltarne la bellezza fisica e l’espressività gestuale. La metamorfosi che avviene nella Loren nel giro di alcuni anni, favorita anche dalla sua carriera hollywoodiana, culmina con il trionfale successo de La ciociara, che oltre all’Oscar le regalerà anche un Nastro d’argento e la Palma d’oro a Cannes. Qui De Sica riesce a far risuonare in lei le corde profondamente umane di un dolore universale. Eppure però il regista, per La ciociara, ha dovuto riplasmare la Loren, facendola ritornare all’origine e al dialetto partenopeo, dopo quelle esperienze hollywoodiane che l’avevano un po’ internazionalizzata. Dalle lettere che abitualmente Vittorio De Sica inviava alla figlia Emi, si evince la trasformazione stilistica e interpretativa che il maestro ha dovuto operare sulla Loren, per regalargli quel ruolo da Oscar, ironia della sorte, con un personaggio però fortemente regionalizzato.
Al quarto giorno di riprese:
“Sophia è già più ciociara, ha dimenticato i personaggi sofisticati che ha interpretato durante i quattro anni americani. Soltanto gli occhi, non sono riuscito a non farglieli truccare eccessivamente”.
Una settimana dopo c’è ancora da combattere però con lo stile di recitazione:
“I primi piani di Sophia sono efficaci, tranne qualcuno dove le esperienze hollywoodiane hanno preso il sopravvento e dove non c’è nulla da fare perché ormai sono totalmente penetrate in profondità che ci vorrà ancora una settimana perché io le debelli, ma Sophia è molto intelligente ed è molto brava e, quello che più conta, ha piena fiducia in me per cui spero che riesca a vincere questa grossa battaglia. Lo merita perché ha veramente autentiche doti di grande attrice”.
E poi sappiamo tutti come è andata a finire. Quel personaggio semplice e popolano, ma costituito da una grande venatura drammatica, plasmato dal maestro De Sica, arrivò a commuovere il mondo e a consegnare la Loren alla leggenda. Molteplici sono le scene emblematiche del film dove la Loren dimostra il suo straordinario istinto recitativo, come la scena dello stupro dentro una chiesa abbandonata, il momento del risveglio con l’abbraccio tragico di calore materno verso la figlia Rosetta pregante e uno sguardo intenso e commovente, oppure la scena simbolo in cui Cesira sfoga la propria rabbia per la violenza subita, cadendo a terra in un pianto straziante quanto liberatorio. Dopo il meritato Oscar, il “Time” le dedica una copertina con una illustrazione di René Bouché, in cui tutti capiscono che oltre alla diva, capace di attirare su di sé tutti gli sguardi e le attenzioni mondane, c’è un’attrice, forse senza eguali nel mondo.

Quello delle “copertine” è senza dubbio un mondo in cui, sia Gina che Sophia, sono tra le più ricercate e richieste. E’ quì che, mentre Usa e Unione Sovietica, inaugurano gli anni bui della Guerra fredda, un’altra guerra, decisamente più calda, viene combattuta durante la Dolce Vita: quella per la supremazia tra le dive italiane. La progressiva internazionalizzazione dello star-system italiano, infatti, trasferisce tale guerra su scala planetaria. Nasce quindi, un dualismo, più di facciata che davvero reale, quello appunto tra la Lollobrigida e la Loren, alle quali si inserisce ben presto anche Silvana Mangano. In realtà, l’affermazione delle due attrici non è perfettamente contemporanea. La Lollobrigida diventa celebre con rapidità sorprendente a partire da Altri tempi, del 1951, e Pane, amore e fantasia, diretto da Luigi Comencini nel 1953; mentre Sophia Loren, la cui contrapposizione con la Lollo è sottolineata dal fatto che nel 1955 la sostituisce in Pane, amore e…, terzo film della serie, emerge attraverso un percorso più complesso, anche per il fatto che a definirne il personaggio concorrono l’eredità popolare napoletana rappresentata dalla madre, l’amore per Carlo Ponti, che è suo produttore come stabilito da un contratto pluriennale, e Vittorio De Sica, che ne raffina il talento dirigendola in ruoli più articolati.
Tra l’altro, all’antagonismo con la Lollobrigida, si incrocia quello con la Mangano. Finisce sulle pagine dei rotocalchi: “anche la rivalità tra Sophia e Silvana Mangano, che nel frattempo è diventata la moglie del socio di Ponti, Dino De Laurentiis. Una rivalità che provocherà la scissione della società di produzione”. Tuttavia la Mangano si chiama fuori dalla sfida con la metamorfosi del suo eros intensamente popolare in una bellezza elegante e sofisticata, come testimoniano servizi fotografici in scenari lussuosi, dove la Mangano fuma con algida voluttà: un cambiamento in cui si avvertono, indistinguibili, la volontà del marito di sottrarla a ruoli troppo sexy e il desiderio di promozione sociale di lei. Così la guerra fra le due attrici si manifesta nei suoi caratteri peculiari: è Gina Lollobrigida a diventare la prima star a pieno titolo, suggellata dalla vittoria del Golden Globe, nel 1961. Alla quale risponderà la Loren, soltanto qualche mese dopo, con la vittoria dell’Oscar.

La Lollobrigida, bisogna dirlo, si fa un nome, già nei primi anni ’50, interpretando formose ragazze di campagna, graziose e dolci ma non sprovviste di forza d’animo e di iniziativa. La Lollobrigida viene tuttavia a poco a poco affiancata da Sophia Loren, più alta e decisamente più giovane, con lineamenti più marcati e una figura più piena. Sophia Loren raggiunge la pienezza di star negli anni ’60, in particolare sull’onda dei film interpretati al fianco di Marcello Mastroianni. La contrapposizione, è però più frutto delle fantasie dei giornali, che una vera e propria rivalità tra le due dive, considerato che tanta millantata rivalità infastidisce sia Gina che Sophia, ma sottrarsi serve a poco. Quando “Epoca” proclama il 1955 “L’anno di Sophia”, invece di dare spazio alle immagini che ne certificano il riconoscimento, pubblica un’infografica malandrina in cui esamina le caratteristiche e le misure vitali della Loren confrontandole con quelle della Monroe e, ovviamente, della Lollobrigida. E proprio una conversazione fra queste ultime offre la misura di come essere la più bella negli anni della Dolce Vita equivaleva ad un riconoscimento globale. Quando la Lollobrigida, richiestissima, si reca a Hollywood, incontra Marylin Monroe, e considerato che la Lollo dovunque vada è assediata da centinaia, talvolta migliaia, di fan, l’attrice americana le dice: “Lo sa che mi chiamano la Lollo d’America?”. Quasi la testimonianza di un primato di bellezza esercitato anche su Hollywood. Il “Time”, addirittura nel 1954, arriverà a pubblicare un articolo il cui titolo recita così: “In Europa Gi-na-Lol-lo-bri-gi-da sono le sette sillabe più famose. È lei la ragazza che, secondo Humphrey Bogart, “fa sembrare Marilyn Monroe simile a Shirley Temple”. Primato che tre anni più tardi esibisce anche la Loren. A Hollywood per girare Desiderio sotto gli olmi, nel 1957, racconta in un articolo scritto per “Oggi”: “Uno dei miei vicini di camerino mi è venuto a trovare e mi ha detto: lo sa, Sophia, che hanno detto che sono diventato rosso, la prima volta che l’ho vista?. Che cosa potevo rispondere? Abbiamo riso tutti e due, poi lui è rientrato nel suo camerino e io sono andata avanti a leggere il soggetto del mio film”.
Il nome del vicino era Clark Gable.


——-Il saggio è tratto dal libro LE DONNE DEL CINEMA ITALIANO- CENTO ANNI DI DIVE SENZA TEMPO, di Domenico Palattella, Boopen Edizioni, 2017———