Le coppie storiche del cinema italiano: Gassman-Tognazzi

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Quella di Tognazzi e di Gassman fu una coppia che si espresse in 7 film nell’arco di quasi un ventennio, dal 1962 de “La marcia su Roma” al 1980 de “La terrazza”. La loro fu una storia di grandissima amicizia, che si è poi riversata anche sui rispettivi figli Gianmarco e Alessandro, i quali hanno continuato il tandem Tognazzi-Gassman nella loro personale esperienza cinematografica.

Quella tra Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi, è stata probabilmente la coppia che ha espresso il miglior livello qualitativo riguardo ai film interpretati insieme e tutti pienamenti inseriti all’interno del prolifico filone della commedia all’italiana. Entrambi erano nella ristretta cerchia dei “Mostri” della commedia all’italiana che includeva anche Alberto Sordi e Nino Manfredi. Girato nell’autunno del 1962, La marcia su Roma, diretto da Dino Risi, rappresenta la prima collaborazione di Vittorio e di Ugo. Con questo film hanno modo di apprezzarsi, di affinarsi e di sviluppare un’amicizia praticamente fraterna, tanto che, ad esempio, Alessandro Gassman e Gianmarco Tognazzi, due dei loro figli, classe 1965 il primo e 1967 il secondo, sono praticamente cresciuti insieme. E hanno, anche loro come i rispettivi papà, interpretato qualche film in coppia. A rafforzare la prova di un’amicizia solidissima durata fino alla morte di Ugo, avvenuta nell’ottobre del 1990, ce lo testimonia la presenza assidua e costante di Vittorio alle cene del venerdì sera, organizzate settimanalmente da Ugo nella sua villa di Torvajanica. Alla “cena dei dodici apostoli”, così venne apostrofata quell’abitudinario rito del fine settimana, partecipavano sempre dodici amici, fra cui presenze fisse erano quelle di Gassman, Villaggio, Monicelli, Vianello e gli sceneggiatori Benvenuti e De Bernardi. Già, perché Ugo era appassionato di cucina, della buona tavola e dello sport. Nella stessa villa della “leggendaria” cena, si era fatto costruire un campo da tennis, in piena regola. L’impeto d’amore che aveva per questo sport lo aveva spronato a inaugurare nel 1966 un torneo nella propria mega-villa di Torvajanica, quello che sarebbe passato alla storia come il “Torneo di Tennis Tognazzi”: il T.T.T…Ogni fine agosto, sul terreno di gioco della villa hanno incrociato le racchette decine e decine di personaggi del cinema, del teatro, del giornalismo, ma non solo; tutti a contendersi, tra risate, cibo e vino, l’ambito premio finale: lo scolapasta d’oro, uno per il doppio e uno per il singolo. Quello scherzo, nato a metà degli anni ’60, diventò consuetudine, la scommessa si tramutò in tradizione inossidabile, l’iniziativa, un impegno costante. Il Torneo infatti continuò a svolgersi puntualmente, per ben 25 edizioni, tranne una breve pausa a cavallo tra gli Anni 70 e 80. Fu proprio Lui Ugo, mediocre tennista ma grande attore e impareggiabile anfitrione, l’ideatore dell’originale competizione che come premio finale attribuiva l’ambitissimo “Scolapasta d’oro” in un 1966 ormai lontano. Fra i partecipanti c’erano un po’ tutti i suoi amici e i giornali documentavano le stravaganze “sportive” di tali personaggi. Le solenni arrabbiature di Renato Rascel col suo occasionale compagno di doppio e la grinta alla Gardini di Umberto Orsini. Le improbabili “volè” di Ugo Tognazzi, il “fair play” britannico di Arnaldo Ninchi I pallonetti di Ivo Garrani. L’entusiasmante “show” di Luciano Pavavrotti in una serata di settembre insolitamente gelida e i pittoreschi insulti regolarmente indirizzati agli avversari da Alessandro Haber, la tenacia di Luciano Salce e Sergio Fantoni. Gli interminabili lamenti di Franco lnterlenghi e la simpatia contaggiosa di Vianello, Villaggio, Arbore, Nuti e Verdone. Lo stile impeccabile di Vittorio Gassman e Giuliano Gemma, il tennis approssimativo di Michele Placido e Flavio Bucci. La straripante vitalità di Daniela Poggi e la spietata concentrazione di Carol Andrè, e tanti, tanti altri. Le serate si chiudevano con le consuete spaghettate notturne, le solite bevute e le chiacchierate interminabili tra vecchi grandi amici di un’epoca d’oro. Non mancavano neppure le consuete proteste di chi si riteneva defraudato di un punto, e la solita ostinazione di chi vorrebbe vincere a tutti i costi, gli inevitabili sospetti verso la macchinosa formula del torneo a squadre. Alla fine premiazione per tutti, ed esibizioni estemporanee con qualche sorpresa. Insomma a “Villa Tognazzi” non mancava proprio nessuno, men che meno Vittorio, presenza fissa ed assidua. Leggendaria è rimasta quella foto del 1976, quando entrambi si lasciano immortalare con un prosciutto in mano, poco dopo aver vinto insieme il torneo di doppio del torneo di “Villa Tognazzi”. E possiamo ancora parlare di goliardiche esperienze insieme. Ce lo testimonia, nel corso di un’intervista rilasciata per la tv nel 2004, l’attore genovese Paolo Villaggio, fraterno amico di entrambi:

 “Una volta andammo in Provenza io, Gassman e Tognazzi. Andiamo a mangiare in un albergo che era anche uno dei più rinomati templi della cucina francese. Gassman era già un attore di fama internazionale e Ugo, dopo “La grande bouffe”, in Francia era una star. Accoglienza regale, tappeti rossi, il miglior tavolo, salamelecchi. Ordiniamo un pranzo barocco. Finite le consultazioni con il capocameriere, arriva solennemente il feudale sommelier, con relativo codazzo di vassalli. Colpo di scena: Gassman ordina uno Chàteau Laffitte Rothschild, il bordeaux più caro del mondo (una bottiglia, quattro milioni di lire, di allora, cioé anni Settanta). Alzando un sopracciglio, il sommelier galvanizza i suoi vassalli, che dalle segrete del maniero recano in processione l’inestimabile bottiglia, deposta nel cestino come Gesù bambino nella mangiatoia. Ha inizio il rituale bizantino della stappatura. Il sommelier mostra l’etichetta, svolazza il tovagliolo sulla bottiglia, circoncide la ceralacca, stappa come disinnescando una bomba inesplosa, risvolazza il tovagliolo sulla bottiglia, annusa il tappo, lo depone nel piattino di porcellana, caraffa minuziosamente il vino illuminando con la candela il collo della bottiglia per monitorare l’eventuale bruscolo di fondiglio, e trionfalmente, con una voluta barocca, versa il vino a Gassman. Distaccato, altero, Gassman assaggia. L’intera tradizione del teatro classico europeo si trasfonde in una pausa magistrale. Poi, con un sottotesto di lieve malinconia, il giudizio definitivo: «Sa di tappo». Il sommelier incassa da par suo, e inchinandosi con ossequio monacale al sacro cliente, ricomincia senza batter ciglio l’intera celebrazione. Tutto si svolge esattamente come prima, tranne che in sala aleggia una suspense insostenibile. Ugo suda, si agita sulla sedia. Gassman, da grande, grandissimo attore, non batte ciglio. Viene il momento del verdetto. Gassman si bagna le labbra, e in controtempo emette la sentenza: «Sa di tappo». Il sommelier vacilla, e capisce che per lui, a questo tavolo si rilancia troppo alto. Fa chiamare il direttore. Il richiamo si propaga per la sala. Ugo è nel panico assoluto e mormora: «Ci denunciano! Andiamo via, ci denunciano, ci mandano alla Caienna!». Si materializza il direttore, ci guarda in faccia, prende il bicchiere, assaggia, e guardando fisso Gassman decreta: «No!» e se ne va. Ugo, ormai in deliquio, trasecola per il sollievo: la beffa è finita, e noi siamo ancora lì, sani e salvi. Perché a Ugo piaceva giocare e scherzare, ma nella sua bonarietà, nella sua semplicità, non reggeva la beffa a questi livelli di rischio e di estremismo.”

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 Ritornando all’ambito puramente lavorativo, quella prima collaborazione in “costume” consegna al cinema italiano una coppia di lusso, sporadica si, ma comunque duratura ed affiatata, sulla falsariga di Totò e Peppino. Una coppia “d’autore”, se fosse possibile coniare questo termine. Già perché il valore artistico delle 7 pellicole interpretate insieme è di livello assoluto, con almeno 4 capolavori e altri 3 ottimi film. I registi dei loro film di “coppia” spaziano da maestri del cinema come Dino Risi, che gli dirige in 4 dei 7 film; ad Ettore Scola che li utilizza in uno dei segmenti, peraltro memorabile (Hostaria), del film I nuovi mostri e nel lungometraggio La terrazza; ma anche buoni registi come Luciano Lucignani e Armando Crispino. Quel loro primo film, ovvero La marcia su Roma, esce in sala il 30 gennaio del 1963 e annovera il miglior gruppo di sceneggiatori della commedia all’italiana: Age e Scarpelli, Ruggero Maccari, Ettore Scola, Sandro Continenza e Ghigo De Chiara. Pochi sanno che questo film incassò addrittura qualcosina in più del più celebrato I mostri, ritenuto il capolavoro assoluto della coppia e uscito quello stesso anno, ovvero il 31 ottobre. 750 milioni di lire incassati dal primo film, poco meno il secondo, che si attesta sui 732 milioni di lire. Ad uscirne vincitrice è la verve comica e l’affiatamento di entrambi gli attori, nonché le quotazioni del loro regista Dino Risi, ormai osannato come un maestro assoluto del cinema italiano. La marcia su Roma, ripercorre esaustivamente uno degli avvenimenti che più hanno segnato la storia d’Italia dal primo dopoguerra ad oggi, ovvero la famigerata “spedizione” del 1922. La storia di due poveracci che partecipano, illusi da facili promesse, alla marcia su Roma, fa da sfondo ad una riuscita attendibilità storica del film: le prime violenze, i primi scontri con i “rossi bolscevici” e soprattutto le responsabilità storiche di chi era chiamato a fermare ciò che poteva ancora essere fermato.  Il film accenna poi anche alla responsabilità degli intellettuali per l’avvento del fascismo tratteggiati nella figura del poeta dannunziano fascista che accompagna tutta la spedizione illustrandola con i suoi versi strampalati e altisonanti. Infine è ben mostrata l’opposizione dell’esercito che minaccia di spazzare via i fascisti e la definitiva responsabilità del re che dà il via libera alla presa del potere di Mussolini, illudendosi, come mostra l’ultima scena del film, che dopo aver eliminato la minaccia dei “sovversivi”, il regime possa essere in breve tempo sostituito dal ritorno di un governo liberale moderato.

Poi venne l’estate di quell’anno e una nuova sceneggiatura confezionata dagli stessi autori, con l’unica eccezione della sostituzione di Continenza e De Chiara, con Elio Petri, che consegna a Risi, il copione di un film ad episodi destinato a fare scuola. Quel film sarà I mostri, che viene ritenuto da molti il miglior film ad episodi della storia del cinema italiano ed una delle migliori commedie all’italiana di tutti i tempi, una serie di gag strepitose che sbeffeggiano l’Italia del boom nello stile della commedia all’italiana, con il duo Tognazzi-Gassman che fa scintille. La coppia Gassman-Tognazzi, in maniera magistrale e dissacrante prende in giro con ironia le follie e crudeltà spicciole dell’italiano medio dei nostri giorni. Il film diviso in 20 piccoli episodi è divertentissimo, tanto che molti dei personaggi interpretati dalla coppia ,sono entrati nella memoria collettiva. Gli incassi superarono i tre miliardi di lire, una cifra mostruosa per l’epoca. In gara di trasformismo, i due fanno ridere e riflettere presentando, insieme o separatamente, una fitta serie di anomalie di quelle che di solito passano inosservate: il padre furbastro che esibendosi davanti al figlio lo alleva inconsapevole alla delinquenza; il demente tifoso del calcio; i poliziotti ignoranti e ingenuamente crudeli; i due latin lovers scambiati per gay in spiaggia; il vigile urbano in agguato; il maniaco della tv ecc.ecc. Il brano da tesaurizzare per entrambi gli attori è l’ultimo, su un pugile suonato (Tognazzi) che convince un cameriere tonto (Gassman) a farsi massacrare sul ring. “I mostri” è iI film che fa nascere, consapevolmente il mito della commedia all’italiana, che era esplosa quasi per caso, qualche anno prima con “I soliti ignoti” di Monicelli. In questa sede vanno citati da sé alcuni di quei piccoli corti che compongono il film, perché come accade per ogni pellicola ad episodi, ce ne sono alcuni che sopravvivono più di altri nella memoria collettiva, arrivando a dipingere meglio degli altri, sociologicamente l’Italia del boom economico.

-L’educazione sentimentale ( 6 min.1963 ) Con Ugo Tognazzi e Ricky Tognazzi. Un padre che insegna al figlioletto a essere disonesto verrà ucciso da quest’ultimo dopo qualche anno. Il primo episodio del film ” I mostri” che viene ritenuto da molti il miglior film ad episodi della storia del cinema italiano ed una delle migliori commedie all’italiana di tutti i tempi.

-Che vitaccia ( 3 min.1963)Con Vittorio Gassman. Un baraccato romano preferisce andare allo stadio a vedere la Roma, piuttosto che lavorare. Settimo dei venti episodi che compongono il film, che con la coppia Gassman-Tognazzi fa faville.

-Il mostro ( 1 min.1963 ) Con Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi. Due carabinieri sorridono in modo ebete al fotografo che li immortala dopo aver catturato un criminale. Il terzo episodio de “I mostri”, è diventato il simbolo dei film a episodi all’italiana, nonostante la sua esigua durata. La dimostrazione lampante, che una efficace idea cinematografica può essere espressa a meraviglia anche in pochi minuti o addirittura secondi.

-Latin lovers ( 2 min.1963 ) Con Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi. Due vitelloni sulla spiaggia sono vittime di un equivoco e scambiati per omosessuali. Il nono episodio del film, anche in questo caso basta un’inquadratura per rendere memorabile l’episodio.

-Come un padre ( 6 min.1963 ) Con Ugo Tognazzi e Lando Buzzanca. Un marito cornuto si sfoga col suo migliore amico, senza sapere che è lui che lo cornifica. Quarto episodio del film, impeccabile nel mantenere la suspence, fino all’esilarante finale rivelatore.

-La nobile arte ( 17 min.1963 ) Con Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi. Un ex pugile suonato persuade un suo collega, conciato ancora peggio, a ritornare sul ring: il secondo finirà sulla sedia a rotelle. L’ultimo episodio del film, il più grande come durata, ma anche quello da tesaurizzare per entrambi gli attori.

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Passò poi qualche anno e l’occasione di ritornare a lavorare insieme capitò con una bella storia boccaccesca ambientata nel Rinascimento, la cui fonte letteraria è da ricercarsi nella raccolta di 75 novelle scritte dallo scrittore bergamasco Giovanni Francesco Straparola intorno agli anni ’50 del XVI secolo. Quella raccolta di novelle si chiamava Le piacevoli notti, da cui il film omonimo. La scelta degli sceneggiatori, tra cui spicca il maestro Steno e dei registi Armando Crispino e Luciano Lucignani, vira verso un film in tre episodi intrecciati l’uno nell’altro. Scelgono Gassman, Tognazzi e la Buccella e la Lollobrigida, da cui il Morandini arriva a dire “Ottimo film, farsa piccante, che sembra un’operazione tra amici, a tratti divertente e spiritosa”. Come al solito gli incassi si attestano sul livello medio-alto degli scorsi film, qualcosina in meno: 650 milioni di lire. Arriva poi il ’68, inizia il periodo dei tumulti sociali, delle rivoluzioni studentesche e la commedia,come stretta conseguenza della valenza sociologica del cinema, si fa più cupa. In questo contesto deve essere considerato il quarto film dell’accoppiata tra Gassman e Tognazzi, che è un altro di quei capolavori del cinema nazionale che il mondo ci invidia. I due ritornano a lavorare con il loro “mentore” Risi, in una deliziosa e amarissima commedia sul filo di un moralismo acre e tutto negativo, che si misura con l’attualità politica della cupa Italia degli anni ’70 che sembra conoscere solo le leggi del profitto a ogni costo. La coppia è eccezionale, già rodata negli altri capolavori sopra descritti. Gassman è un estroverso, rapace cialtrone, speculatore edilizio, corruttore di potenti, inquinatore di litorali, esponente tipico, insomma, dell’Italia del benessere; e Tognazzi è il giudice istruttore deciso a combatterlo con la sola arma della propria ostinazione. Indagando sulla morte di una prostituta, Tognazzi scopre i passati contatti di costei con il potente imprenditore, di cui smonta poi l’alibi nella notte del fattaccio. Alla fine però un quaderno scoperto per caso mette in mano a Tognazzi la prova del suicidio della ragazza. Però il giudice è disgustato dal degrado della società che vive, degrado di cui i responsabili sono i tipi come l’ingegner Santenocito/Gassman: pesci avvelenati dagli scarichi industriali, strade in smottamento, corruzione dilagante. E allora decide di punire ad ogni costo almeno un colpevole, distrugge freddamente, la prova dell’innocenza del suo imputato e lo fa arrestare. Il tutto per punire una società che non sa più perseguire i propri ideali. La scena del litigio in spiaggia di Tognazzi e Gassman è da antologia della recitazione.

Film cult: In nome del popolo italiano (1971) Dino Risi - LA ...

Nel 1976 Vittorio e Ugo tornarono a lavorare ancora con Risi. L’occasione è Telefoni bianchi, in cui il regista è attratto dall’ambizione della saga, come avevano fatto altri illustri colleghi come Scola con C’eravamo tanto amati e in fondo anche Sordi con film come Polvere di stelle. Il film racconta l’ascesa, il declino e la rinascita di una camerierina veneziana che diventa una diva del cinema fascista, concedendosi a vari uomini, tra cui lo stesso Duce. Intanto il fidanzato, soldato, passa dall’Africa alla Spagna, dall’Albania al fronte russo. Finisce poi, la guerra e la ragazza sarà costretta a ricostruirsi una vita, fuori dall’Italia, perché cacciata dal suo paesello per motivi morali e di prostituzione. Si sposerà con un mite e benestante svizzero per procurasi la cittadinanza svizzera, mentre il fidanzato, da lei creduto morto, si è rifatto una vita con moglie e figli in Russia. La protagonista femminile è Agostina Belli, bellissima come qualche anno prima in Profumo di donna, proprio con Gassman e Risi; il protagonista maschile è invece Cochi Ponzoni, che con questa bella interpretazione sembrava destinato a sfondare nel cinema. Gassman e Tognazzi hanno due partecipazioni straordinarie, nei panni rispettivamente dell’attore di regime Franco Denza che intesse una relazione con la ragazza; e del losco delatore di ebrei Adelmo. La pellicola fu accolta freddamente in Italia, nonostante il David di Donatello speciale per Agostina Belli ed ebbe invece un grandissimo successo in Francia, dove addirittura oggi è più conosciuto e amato che da noi. Ora, probabilmente la verità sta nel mezzo. Come ricostruzione storica il film effettivamente non è pienamente convincente, ma le critiche eccessive del quale è stato vittima in Italia non sono assolutamente giustificate, soprattutto se consideriamo anche, la deriva culturale nel quale buona parte del cinema italiano era caduto. Nonostante qualche difetto, il film in definitiva è molto grazioso, pulito scenicamente, come tutte le opere del maestro Dino Risi, ed è sorretto certamente da attori consumati e di straordinaria bravura, sia nelle parti di protagonisti (Belli e Ponzoni), sia in quelle secondarie (Gassman, Tognazzi, Pozzetto, Toffolo). L’anno dopo si mettono insieme per un progetto cinematografico ambizioso, professionisti come Age, Scarpelli, Zapponi e Maccari, sceneggiatori tra i più pregiati del nostro cinema, che confezionano quell’idea interessante diventata poi realtà. Ne nacque I nuovi mostri, memorabile adattamento quindici anni dopo del celebre film di Dino Risi, qui affiancato anche da Ettore Scola e Mario Monicelli. Il film, che ottenne la nominations all’Oscar come miglior film straniero nel 1979, è diviso in quattordici brevi episodi sulle piccole e grandi meschinità dell’italiano medio. Mattatori del film stavolta, oltre a Tognazzi e Gassman, reduci del film precedente, anche Sordi e la bellissima Ornella Muti. i quattro protagonisti del film: Sordi, Gassman, Tognazzi e Muti rappresentano, in maniera molto efficace, vari personaggi tipici della società italiana in generale, tratteggiando gli aspetti negativi delle importanti istituzioni come la politica, la magistratura, la Chiesa cattolica e la nobiltà, al fine di irridere l’italiano contemporaneo con i suoi vizi, i suoi difetti e la sua mediocrità. Gli episodi epocali del film sono tre, dei quali forse “Hostaria”, con Gassman e Tognazzi è il più grande cortometraggio della storia del cinema italiano. Dei vari episodi che compongono il film, questo è l’unico in cui Gassman e Tognazzi appaiono insieme, ma è un gioiellino, un vero e proprio capolavoro. Diretto da Ettore Scola, il cortometraggio della lunghezza di 8 minuti, racconta la storia di come un gruppo di clienti non si accorge, che i cibi loro serviti subiscono le devastanti conseguenze delle liti furiose che il cuoco e il cameriere, proprietari del ristorante, due omosessuali divorati dalla gelosia, fanno in cucina. Surreale e dissacrante, Hostaria rimane come un pezzo di bravura esemplare della celebre coppia, con l’esilarante rissa nella cucina dell’osteria, con tanto di pace finale e bacio annesso, che è assolutamente fantastica.

Tre anni dopo Gassman e Tognazzi sono sul set di quello che, se possibile, è il migliore dei sette film interpretati insieme. Detto così, e analizzati da quali film provengano i due sembra quasi un eresia, ma questa pellicola risponde al nome de La terrazza diretto dal maestro Ettore Scola. E allora quell’eresia, non sembra più tanto eresia, perché davvero questo capolavoro del maestro Scola fu qualcosa di epocale. Scritto dagli sceneggiatori Age e Scarpelli, il film racconta le vicende individuali di un gruppo di amici di mezz’età, i quali si iscrivono nel bilancio della generazione a cui appartengono i due autori e il film di Scola appare come “una sorta di post scriptum alla storia della commedia all’italiana”, dove satira, patetismo e lucidità impotente si intrecciano con grande efficacia. Straordinaria la parata dei protagonisti maggiori della commedia all’italiana: Jean Louis Trintignant sceneggiatore satirico in crisi; Stefano Satta Flores critico cinematografico iracondo; Ugo Tognazzi nei panni di un produttore volgare; Marcello Mastroianni giornalista politico alla riconquista di una sua vecchia fiamma interpretata da Carla Gravina; Serge Reggiani consigliere Rai; Vittorio Gassman deputato comunista che ha una relazione occasionale con la moglie (Stefania Sandrelli) di un pubblicitario. Questo stuolo di intellettuali si riuniscono settimanalmente nella Terrazza del titolo, intrattenendo racconti, litigate, opinioni sullo sfondo di una Roma capitolina di accecante bellezza. Questo film di Scola, dal cast che dire “stellare” è già di per sé toglierli qualche punto, è dunque il canto del cigno della gloriosa stagione della commedia all’italiana, apparendo come il film-summa di tutta una generazione. Un finale col botto per Gassman e Tognazzi, che nel film hanno tante parti separati, ma anche qualcuna insieme, nella Terrazza appunto, dove gli amici del film erano soliti riunirsi e che è appunto il trait-d’union dell’intera vicenda. Per la verità entrambi quello stesso anno faranno giusto un’apparizione sul set di Sono fotogenico, dove l’amico Risi, stava girando con Renato Pozzetto, un film che è probabilmente l’ultima pellicola memorabile della sua carriera da regista. E lo fa servendosi della maschera di Pozzetto, credibile e stralunato nello scavare nei meandri più cupi del mondo del cinema, tutt’altro che dorato.

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In conclusione, vorrei raccontarvi un aneddotto che testimonia un rapporto che probabilmente davvero andava oltre la semplice amicizia, ma che era qualcosa di più profondo. Nel corso di un’intervista, rilasciata dalla figlia di Ugo, ovvero Maria Sole, oggi affermata regista, ella stessa raccontò un aneddoto particolare.

“Un Natale [probabilmente quello dell’88], invitammo nella casa di Velletri Vittorio Gassman, depresso anche lui come papù [così era solita Maria Sole chiamare il proprio papà]. Mamma [Franca Bettoja] e sua moglie Diletta [D’Andrea] pensavano che la compagnia reciproca li avrebbe risollevati. Vittorio arriva e i due si chiudono nella camera di papà. Un’ora, due… Non uscivano più. Finalmente, escono e noi: allora, che vi siete detti tutto questo tempo? E loro: niente, abbiamo pianto. Piangevano per la fine del grande cinema e della loro gioventù”.

Domenico Palattella

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