
Gli anni d’oro della commedia all’italiana, sono nella loro interezza tutti gli anni ’60. Per i quattro grandi specialisti ( Sordi, Gassman, Tognazzi e Manfredi) sono gli anni della conferma, in cui trasformano in oro tutto quello che toccano. Il primo, Alberto Sordi, continua la sua carrellata dei difetti e dei vizi dell’italiano medio, tra i tanti film interpretati dall’attore romano nel decennio, ne spiccano 4 di notevole spessore: Tutti a casa(1960), ispirato agli avvenimenti immediatamente post-8 settembre 1943; Una vita difficile(1961), in cui il grande Albertone sfodera una prova da applausi, forse il suo miglior film, uno straordinario affresco dell’Italia degli anni ’60 e della sua democrazia, dagli entusiasmi della ricostruzione alla rapida involuzione; Il vigile(1961), nei panni del vigile Otello Celletti, il quale arriva a multare addirittura il sindaco di Roma in persona; e Il medico della mutua, campione di incassi nel 1969, il quale sancisce, se mai ce ne fosse stato il bisogno, il primato di Alberto Sordi nella commedia, il quale continua a rappresentare meglio di chiunque altro, i vizi e i difetti dell’italiano medio. Ancora, rimanendo su Sordi, è il migliore nel film ad episodi I complessi, più precisamente nel terzo, dal titolo Guglielmo, il dentone. Irresistibile pezzo di bravura quì l’attore si evidenzia in una delle parti più divertenti della sua carriera, in un episodio passato alla storia del cinema. Nessun particolare filo rosso lega i tre episodi che lo compongono, se non l’idea produttiva di offrire tre dei volti più popolari del cinema di allora e più amati dal pubblico: Manfredi, Tognazzi e Sordi. Dopo i primi due episodi, piuttosto sciapiti e risaputi, ecco l’ultima scintillante mezzora, con l’episodio di Alberto Sordi, diretto dal regista Luigi Filippo D’Amico, che rialza di colpo (e di quanto) il tono del film. Nel suo genere Guglielmo, il dentone è un piccolo capolavoro di fantasia, grazia, classe e comicità: un cortometraggio entrato di diritto nella storia del cinema. Sordi interpreta alla perfezione questo aspirante presentatore tivù perfetto in tutto eccetto nella dentatura cavallina che lo deturpa. L’idea di partenza, a sentire Sordi, nacque casualmente: “Pierina, la cameriera che venne a casa mia a 14 anni, un giorno mi portò dei denti di celluloide che aveva trovato su un banchetto al mercato. La cosa mi fece ridere e misi quei denti nel taschino della giacca. Poi, un giorno, in tv, ascoltai una signorina che annunciava un concorso per lettori del cinegiornale e pensai che se si presentasse uno bravissimo, preparatissimo, ma con dei denti enormi, potrebbero cacciarlo dicendogli, ci scusi, lei è bravo ma i suoi denti sono impresentabili?”. Il complesso come “mancanza di complessi” diventa così la molla che muove tutto l’episodio e che permette a Sordi il suo solito, riuscito mix di situazioni paradossali e misurati sottotono, campione prima del tempo di quel politically correct che impedisce ai dirigenti e agli esaminatori Rai di dire quello che tutti vedono ma che nessuno osa pronunciare. L’interesse dell’episodio, però, non è solo nel paradosso della situazione, o nella straordinaria interpretazione di Sordi, ma soprattutto nel suo essere, forse, il migliore pezzo di cinema italiano sulla televisione.

Vittorio Gassman, dal canto suo, è al cinema con più di 30 film, in tutti gli anni ’60, tra questi spiccano senza ombra di dubbio Il gaucho del 1964, malinconica avventura di un gruppo di italiani in trasferta in Argentina; e L’Armata Brancaleone del 1966, una delle vette più elevate del cinema italiano, un autentico capolavoro di fantasia e avventure farsesche, che mette a nudo in maniera perfetta i vizi e le virtù del popolo italiano. L’Armata Brancaleone è uno dei pochi film che hanno dato vita a un modo di dire, è sinonimo di un gruppo di persone inadeguate, mandate allo sbando per imprese più grandi di loro. Il film, entrato nell’immaginario collettivo ha avuto un successo enorme, grazie soprattutto allo straordinario apporto di Vittorio Gassman, e ha avuto anche un seguito, che sia pur in tono minore, ne bissò il successo del precedente, Brancaleone alle crociate del 1970. Degli anni ’60 degni di nota sono anche Slalom e La congiuntura, due divertissement molto simpatici e spigliati che mettono in mostra le straordinarie doti atletiche e la verve comica trascinante di Vittorio Gassman. Due film divertenti e allegri che piacquero molto al pubblico.

Il terzo grande della compagnia, Nino Manfredi, sempre contenuto ed accurato amministratore di se stesso, negli anni ’60, sforna un successo dietro l’altro, nel solo quinquennio 1964-69 è protagonista di oltre 20 film, tra film a episodi come Le bambole o I cuori infranti; e lungometraggi interamente basati sulle sue straordinarie capacità di attore a tutto tondo, quali Straziami, ma di baci saziami, Italian secret service e soprattutto Operazione San Gennaro, ambientato all’ombra del Vesuvio e impreziosito da un mirabile intervento del grande Totò; per finire con Il padre di famiglia, uno dei migliori Manfredi di sempre, perfetto nel tratteggiare, in maniera composta ed efficace, il ritratto di un padre di famiglia dell’Italia del boom, alle prese con tutte le problematiche sociali e lavorative del periodo. Un piccolo gioiello diretto dal regista Nanni Loy.

Infine il quarto grande, Ugo Tognazzi, con il delizioso Marcia nuziale, con La donna scimmia o con la sofferta interpretazione de Il commissario Pepe, si eleva come il più poliedrico dei suoi illustri colleghi, più avvezzo al rischio della sperimentazione, con risultati spesso strepitosi, come avremo modo di vedere. 30 film interpretati tra il ’63 e il ’69, tutti peraltro supportati da un costante consenso di pubblico e di critica: è il periodo in cui Ugo completa e affina il suo percorso cinematografico e diventa in assoluto l’attore più cercato del panorama nazionale. In questo decennio ha inoltre modo di affinarsi e di svilupparsi, la coppia formata da Gassman e da Tognazzi, che, molto amici anche fuori dal set, si trovarono a lavorare in coppia in ben 7 film nel giro di due decenni: una coppia di lusso, sporadica si, ma comunque duratura ed affiatata, sulla falsariga di Totò e Peppino. Il loro primo titolo è La marcia su Roma del 1962, ispirato al celebre avvenimento dell’ottobre del 1922. Il film, molto divertente grazie alla vis-comica e all’affiatamento dei due “mostri”, è molto valido anche dal punto di vista storico-sociologico. La storia di due poveracci che partecipano, illusi da facili promesse, alla storica marcia su Roma, fa da sfondo ad una riuscita attendibilità storica del film: le prime violenze, i primi scontri con i “rossi bolscevici” e soprattutto le responsabilità storiche di chi era chiamato a fermare ciò che poteva ancora essere fermato. I protagonisti del film sono Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi, grandissimi amici nella vita, ed esemplari interpreti di questa pellicola ambiziosa che ripercorre un pezzo importante di storia patria. Il film accenna poi anche alla responsabilità degli intellettuali per l’avvento del fascismo tratteggiati nella figura del poeta dannunziano fascista che accompagna tutta la spedizione illustrandola con i suoi versi strampalati e altisonanti. Infine è ben mostrata l’opposizione dell’esercito che minaccia di spazzare via i fascisti e la definitiva responsabilità del re che dà il via libera alla presa del potere di Mussolini, illudendosi, come mostra l’ultima scena del film, che dopo aver eliminato la minaccia dei “sovversivi”, il regime possa essere in breve tempo sostituito dal ritorno di un governo liberale moderato. L’affinità trova comunque la sua perfezione, nel capolavoro di Dino Risi, I mostri, dell’anno successivo, in cui la coppia Gassman-Tognazzi, in maniera magistrale e dissacrante prende in giro con ironia le follie e crudeltà spicciole dell’italiano medio dei nostri giorni. Il film diviso in 20 piccoli episodi viene all’unanimità considerato il più riuscito film ad episodi della storia del cinema italiano, tanto che molti dei personaggi interpretati dalla coppia, sono entrati nella memoria collettiva.

E Mastroianni? Mastroianni si eleva come l’unico nome maschile famoso anche all’estero. Lo si propose nel 1961 come il Barone Fifì di Divorzio all’italiana, sfiorando l’Oscar come miglior attore straniero. Un graffiante film di Pietro Germi che prendeva di mira l’allora vigente articolo 587 del Codice Penale, che prevedeva incredibili attenuanti per i cosiddetti delitti d’onore (il divorzio in Italia, paese cattolico romano, non esisteva e non sarebbe esistito fino al 1970). Mastroianni, che era già stato siciliano l’anno prima nel Bell’Antonio di Mauro Bolognini, diede una grande prova delle sue capacità trasformistiche rinunciando alle pose malinconiche e seducenti che gli avevano fruttato un gran successo internazionale nella Dolce Vita, per sfoggiare con gusto i capelli impomatati, i baffi umidi, gli occhi bovini, i tic di un meridionale molle, egoista, nevrotico; molto efficace fu anche la normalmente avvenente Daniela Rocca sotto un pesante trucco da matrona di provincia. La principale rivelazione del film riguardò tuttavia la conferma della capacità del cinema comico di trattare argomenti scottanti- e il divorzio era tra i principali tabù della Repubblica- nonché la prontezza del pubblico ad accettare tale sede di dibattito, e a ridere dei propri difetti. La grande Guerra aveva- primo film italiano- istillato dei legittimi dubbi sulla consistenza di certe glorie patrie. Tutti a casa aveva mostrato, quasi per primo, l’inglorioso collasso delle istituzioni da cui era nata, quasi per disperazione la Repubblica. Divorzio all’italiana affrontò un tema su cui il Paese era ancora diviso al punto che la maggioranza democristiana non ne consentiva quasi la discussione, e mostrandone i lati paradossali e ridicoli svolse una funzione sociale alla quale pochi altri film “seri” erano arrivati. Ma Mastroianni in questi anni venne proposto anche in coppia con la diva italiana più nota negli Usa, Sophia Loren. E’ al suo fianco in Matrimonio all’italiana, nuova e riuscita versione cinematografica della bella commedia di Eduardo De Filippo, Filumena Marturano; e soprattutto in Ieri, oggi, domani(1964) in cui il trio De Sica-Loren-Mastroianni firma un altro capolavoro assoluto del nostro cinema, dopo Matrimonio all’italiana e conquista il mondo. Enorme successo di pubblico per questi tre episodi che si basano soprattutto sulle grazie della Loren e sulle qualità comiche di Mastroianni (irresistibile nell’episodio intitolato Mara, nel ruolo del cliente bolognese vessato dal padre). Il négligè con cui la Loren si mostra nell’ultimo episodio ha lasciato il segno nell’immaginario popolare, nella celebre scena dello spogliarello che lei e Mastroianni hanno rifatto con molta ironia in Prèt-à-porter, trent’anni dopo. E’ il film che regala all’intuizione avuta da Blasetti, dieci anni prima, ovvero l’invenzione del film ad episodi, il massimo riconoscimento internazionale: il premio Oscar come miglior film straniero. Ma Mastroianni convince anche da solo, come in Casanova ’70(1964) di Mario Monicelli, astuto tentativo di conciliare l’immagine di latin lover dell’attore con il suo talento per la commedia, mediante la serie di avventure galanti di un ufficiale della Nato che riesce a funzionare eroticamente solo a costo di trovarsi in situazioni sempre più pericolose. Al suo fianco una seducente Virna Lisi, pronta a diventare la “donna più bella del mondo”.

Domenico Palattella