Nino Taranto, Totò e Macario: storie eroicomiche di vere amicizie

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Roma, 1963: un servizio di “Tv7” trasmesso sulla Prima Rete nazionale, racconta il successo enorme che una commedia musicale in tournée stava riscuotendo in tutti i migliori teatri d’Italia. Il giornalista Lello Bersani intervista i due artefici principali del successo di “Masaniello”, ovvero Nino Taranto ed Erminio Macario.

L.B.: La vostra è una commedia musicale, molto riuscita, d’altronde il pubblico risponde molto bene, va a teatro e va a vedere le vostre riviste.

E.M.: Quando si diverte il pubblico va sempre a teatro, quando non si diverte viceversa non ci va per niente.

L.B.: La vostra è una commedia musicale che ha un po’ lo spirito della rivista tradizionale, vero Taranto?

N.T.: Difatti noi non abbiamo nessun problema, nessun messaggio da trasmettere, abbiamo solamente pensato al divertimento del pubblico. Abbiamo il dovere di far passare due ore spensierate al pubblico, perché chi viene a vedere Macario e Taranto si vuole divertire e noi ci mettiamo dunque, al servizio della collettività.

E.M.: I nostri autori, Corbucci e Grimaldi, hanno trattato in tono burlesco e spassoso il racconto, anche se c’è la tragedia, perché Masaniello alla fine poi muore, ma noi non portiamo agli estremi le finalità tragiche della vicenda.

N.T.: No, no, assolutamente. Volevo poi dire, che noi, io ed Erminio, stiamo bene assieme, ce lo dice il pubblico e ce lo diciamo anche noi.

E.M.: Siamo fatti l’uno per l’altro. Io sono felicissimo che quest’unione continui, anche perché ci conosciamo ormai da quasi trent’anni e abbiamo anche girato qualche film insieme.

L’importanza che riveste quest’intervista, ormai rimasta negli annali, testimonia l’amicizia sincera e profonda che legava Macario e Nino Taranto. Una foto dei due, insieme all’amico Totò, del 1942, scattata davanti al Teatro Alfieri di Torino, in occasione di uno spettacolo di beneficenza in favore dei mutilati di guerra, ci conferma l’amicizia di lunga data che li legava. Amicizia di lunga data che peraltro entrambi avevano anche con Totò.

“La prima e unica volta che ci incontrammo con Totò in teatro fu per uno spettacolo delle forze armate all’Alfieri di Torino, nel giugno del 1942. C’eravamo tutti e facemmo assieme “La scampagnata dei tre disperati”, un famoso canovaccio della commedia dell’arte napoletana. I tre disperati eravamo lui, io e Macario. Siccome c’era anche Navarrini che aveva smesso la compagnia di riviste, Galdieri che organizzò questa mattinata a favore delle forze armate, volle che partecipasse anche lui e così i tre disperati diventarono quattro. Nella commedia non c’era, aggiungemmo anche un posteggiatore che veniva alla trattoria e cantava con la chitarra, era Tito Schipa. Fu un grande successo”                    (Nino Taranto)

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La famosa foto del 1942 scattata davanti al Teatro Alfieri di Torino, che ritrae Macario, Totò e Nino Taranto sorridenti e in gran forma.

Totò e Nino Taranto si conoscevano già dal 1923, quando al Teatro La Fenice di Napoli, il principe De Curtis, era in platea a seguire uno spettacolo, cui ad un certo punto un giovanissimo “scugnizzo” appena sedicenne, incantò la platea eseguendo la canzone “Vicolo”. Totò, di nove anni più grande di Taranto, ne rimase favorevolmente impressionato e proprio grazie a questo fortuito incontro nacque una bella e lunga amicizia. Dell’amicizia tra Totò e Macario, possiamo dire con certezza che si conoscevano già dal 1927, e lo desumiamo proprio dalle parole dell’attore torinese:

“Che cosa posso dire di quello straordinario Pulcinella moderno che è Totò? Per metà mimo, per metà attore, e tutto – nel cuore e nello spirito – napoletano, grande come soltanto i grandi napoletani sanno essere. Un meraviglioso clown, ecco; e io ritengo che clown sia la più bella e nobile definizione che si possa dare di un artista, quando sia capace, con un lazzo o una battuta, di interpretare e rappresentare la vita facendone un racconto. Fui io, nel 1927, a procurargli la prima scrittura importante. Recitava quell’epoca, nella compagnia del cavalier Maresca e mi toccò tornare con Isa Bluette. Allora, al Maresca disperato per la mia sostituzione, segnalai un comico che avevo visto più volte, di pomeriggio al bar Apollo di piazza Duomo a Milano. Era Totò, e lo ingaggiarono subito. Soltanto che commisero l’errore di insegnargli le cose che facevo io e come le facevo io. Così, la prima sera, fu guaio. «Tu devi fare Totò perché sei Totò», gli dissi. E da lì nacque il Totò di rivista. Me ne fu sempre riconoscente, caro e generoso amico”.                     (Macario)

I tre si incontrarono tutti insieme nella pellicola “Il monaco di Monza”, del 1963. Una buffa parodia dei “Promessi sposi”, che racconta le traversie di Pasquale (Totò), un povero ciabattino vedovo che per sopravvivere si traveste da monaco cercatore, assumendo il nome di Fra Pasquale da Casoria, e gira per le campagne assieme ai suoi 12 figli e ad un altro disgraziato, Mamozio (Macario), fin quando il gruppo trova ospitalità presso il castello del perfido marchese Don Egidio De Lattantiis (N.Taranto), il quale vuole costringere il monaco a celebrare le sue nozze con la riottosa cognata Fiorenza (Lisa Gastoni). In questa unica occasione cinematografica insieme, il trio di amici, che avevano condiviso i duri anni della gavetta in giro per l’Italia, ci regalano memorabili sketch a tre, con una nota di merito al cattivissimo marchese di Nino Taranto, il quale ci delizia con una caratterizzazione diversa da quello cui si era abituati. Per la verità, Macario, Taranto e Totò, sono presenti insieme anche in “Totò contro i 4” e “Lo smemorato di Collegno”, pur non incontrandosi mai tutti e tre insieme in scena.

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I tre mattatori della scena nell’unico film in trio della loro carriera: “Il monaco di Monza”(1963), gradevole film in costume, parodia dichiarata dei “Promessi sposi”.

Macario e Taranto si conoscevano anche loro da parecchio tempo, erano i primi anni ’30, quando a Milano avvenne il primo incontro tra i due. Il primo era già uno dei più affermati attori di rivista, il secondo, più giovane di cinque anni, stava piano piano salendo alla ribalta nazionale. Fin da subito ne nacque una sincera amicizia, che è poi sfociata negli anni del cinema in collaborazioni proficue ed interessanti. Sono insieme, ad esempio, nel 1957 in due inconsueti ruoli drammatici, diretti da un maestro del cinema quale Mario Soldati. Il film è “Italia piccola”, melodramma che racconta di un piccolo mondo di provincia, siamo ad Arena Po, nell’Oltre Po pavese. Una storia popolare, che somiglia a tanti fatti di cronaca della provincia italiana e in cui il pubblico poteva rispecchiarsi. E’ la storia di una ragazza, figlia del capostazione (N.Taranto) del piccolo paesino, che ha avuto un figlio da uno scapestrato (Enzo Tortora) scappatosene in America: per evitare lo scandalo il piccolo viene fatto passare per il figlio di un ferroviere (Macario). Ma a complicare tutto ritorna, dopo cinque anni lo scapestrato, pentito e convinto a fare il papà. Nino Taranto e Macario hanno qui l’opportunità, per la prima volta insieme, di confrontarsi con un testo dai toni drammatici e non deludono le aspettative. Si racconta che entrambi si divertirono molto sul set e nell’albergo dove alloggiavano, ovvero a Pavia, quando calava la sera, si trovavano nella hall dell’albergo o nelle rispettive stanze, per provare le numerose scene insieme che li riguardavano. Racconta lo stesso Nino Taranto: “Porto un bel ricordo del lavoro sul set. Fu un film particolare, con molti esterni e che non poteva essere ricostruito in studio. Per cui ci trasferimmo tutti nell’Oltre Po pavese. Mi ritrovai per la prima volta a lavorare con il mio amico Macario, in un’accoppiata drammatica che rende quest’opera, anche un po’ sfortunata, per tanti motivi, come una delle mie preferite”. Qualche anno dopo i due si ritrovarono insieme, coinvolti in un progetto ambizioso che vedeva uniti i loro nomi a quelli altrettanto popolari di Aldo Fabrizi e Peppino De Filippo. Nacquero quindi “I quattro monaci” e “I quattro moschettieri”, pellicole che riscossero un considerevole consenso popolare.

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Nino Taranto e Macario, protagonisti di un insolito film drammatico del maestro Mario Soldati, dal titolo “Italia piccola”(1957).

Quelli tra il 1961 e il 1963 furono anni frenetici al cinema per i due attori. Anni in cui i rapporti con l’amico Totò diventarono molto frequenti. Nino Taranto tra il 1961 e il 1963 interpretò sei film in coppia con Totò; Macario cinque. Proprio all’inizio degli anni ’60 si presenta per Nino Taranto l’occasione di lavorare al cinema con Totò e, ad eccezione della comune partecipazione al film-varietà “I pompieri di Viggiù” della fine degli anni ’40, è la prima volta che i due grandi attori si incontrano sul set, pur conoscendosi e stimandosi da tempo. Nell’arco di tre anni, dal 1961 al 1963, la coppia gira sei film e, considerando la trama ed i personaggi di ciascuno di essi, non è certo un caso che Nino Taranto venga scelto da produttori e registi come partner del “principe della risata”, poichè Totò finora è stato affiancato sul grande schermo da attori che, pur avendo straordinarie capacità, non hanno mostrato particolare versatilità nell’interpretazione dei propri personaggi, restando bensì ancorati alla caratterizzazione di un tipo ben definito. Per fare qualche esempio si può infatti citare l’impacciato, succube e a volte bisbetico Peppino De Filippo, il burbero e bonario Aldo Fabrizi o il raffinato Vittorio De Sica, e lo stesso vale anche per i comprimari e per quei caratteristi monocordi che lo hanno accompagnato in tutta la carriera, dal dispotico e autoritario Luigi Pavese, all’elegante ed affettato Mario Castellani, fino ai più schivi Agostino Salvietti ed Enzo Turco, i quali recitano accanto a lui quasi con malcelata devozione. Nino Taranto dunque, con il suo “personale” stile recitativo, offre nuove e originali sfumature alla maschera del principe De Curtis.  Rispetto a tutti i pur grandi artisti che hanno finora lavorato al fianco di Totò, Nino Taranto nel recitare con Totò mostra una incredibile duttilità interpretativa e non è un caso che ne offra la prova più evidente già nel primo film della serie, “Totòtruffa ’62″(1961) di Camillo Mastrocinque, ove i due impersonano gli ex trasformisti Antonio e Camillo che, per mantenere in collegio la figlia del primo, ignara della loro losca attività, organizzano piccole, esilaranti truffe. “Totòtruffa ’62” non è altro che una catena di strepitosi sketch ove Nino Taranto, veste di volta in volta i panni di uno scrupoloso operaio comunale intento a piazzare un vespasiano proprio dinanzi ad un ristorante; di Gerolamo Scamorza, finto manager toscano di una grossa società americana intenzionata a comprare la fontana di Trevi; del segretario di colore dell’ambasciatore del Catonga; del geloso marito siciliano di un esilarante Totò travestito da donna; dello scrupoloso assistente in un’agenzia di collocamento e, in abiti femminili, finanche quelli di un’improbabile e militaresca moglie di Fidel Castro. Insomma, una serie di sketch entrati di diritto nella storia del cinema italiano. A proposito di questo film e delle apparizioni en travesti dei due protagonisti, è lo stesso Nino Taranto a ricordare un simpatico aneddoto: “Totò voleva che gli dessi del tu, io non ci sono mai riuscito…Diceva: Ma perchè, non capisco, ti sono antipatico? E io gli rispondevo: No…anzi se fossi una donna mi sarei dato a voi con tutto il cuore senza pensarci su nemmeno una volta”. Aneddoto che ci testimonia la profonda umiltà di un grande attore. Dopo il successo di questo film, il regista Fernando Cerchio ripropone la collaudata coppia nel film “Totò contro Maciste”(1962), una parodia del coevo e fortunatissimo genere storico-mitologico dove i due attori interpretano rispettivamente Totokamen, un truffatore che si spaccia per l’uomo più forte del mondo, e il suo manager Tarantenkamen, scritturati a Tebe dal boss di un locale notturno e coinvolti in sfide faraoniche, intrighi e battaglie contro il potente Maciste. E ancora una volta gli incassi arridono alla celebre coppia. A questa pellicola seguono nello stesso anno “Lo smemorato di Collegno” e “I due colonnelli”, gli unici due film in cui il ruolo di Nino Taranto è secondario rispetto a quello di Totò. In questi due film, nel ruolo di co-protagonista Nino Taranto offre comunque divertenti e riuscite caratterizzazioni, come nel successivo “Totò contro i quattro”(1963), laddove i “quattro” sono appunto Nino Taranto, Peppino De Filippo, Aldo Fabrizi e Macario, reduci dal successo dei loro due precedenti film insieme (“I quattro monaci” “I quattro moschettieri”).

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Nino Taranto e Totò in una scena del film in costume “Totò contro Maciste”(1962).

L’esperienza cinematografica del duo Taranto-Totò si conclude con il già citato “Il monaco di Monza”, l’ultimo film realizzato da Taranto con Totò, ma non l’ultimo di Taranto con Macario. Macario che nel frattempo, aveva anch’egli stretto un proficuo rapporto lavorativo con Totò. Nella stagione 1962/63, infatti, Macario interpreterà in poco più di un anno e mezzo ben cinque pellicole insieme all’amico partenopeo. La serie si apre e si chiude con due pellicole dirette da Sergio Corbucci, vale a dire “Lo smemorato di Collegno” e “Il monaco di Monza”. Nel primo dei due film, il ruolo di Macario è evidentemente secondario a quello di Totò, però in particolar modo è riuscitissima la figura del matto da lui interpretato, dove strabuzzando ancor di più i suoi già esagerati occhi a palla, crea un personaggio delicato e indimenticabile. E’ protagonista, invece, nel divertente ruolo di Mamozio, nel secondo film, accanto allo stesso Totò e a Nino Taranto. I due film che si piazzano nel mezzo, sono gli unici davvero di “coppia” del duo, vale a dire senza altri attori pari a loro come importanza. Parliamo delle due pellicole di Mario Amendola, “Totò di notte n.1” e “Totò sexy”. I due film sono in realtà girati in un unico tempo e poi montati in maniera da far uscire due pellicole distinte. Il secondo film è il seguito del primo, due viaggi surreali e stravaganti tra night, ballerine e spogliarelliste. In entrambi Totò e Macario sono due suonatori ambulanti di contrabbasso che girano l’Europa e il mondo in cerca di fortuna. E’ Totò a trascinare il compagno nelle più disdicevoli avventure, spendendo i suoi soldi e trattandolo malissimo in ogni occasione, Macario risponde abbassando la testa e con due occhi da cane bastonato alle continue angherie del suo collega, continuando però ad appoggiarlo quando si tratta di affrontare le difficoltà in cui i due si cacciano con studiata abilità. A questi quattro titolo bisogna aggiungere la regia di Steno per il già nominato “Totò contro i 4”. Macario con Totò finisce per connotarsi non come spalla di lusso, ma come interprete alla pari, contrapponendo perfettamente i suoi ritmi piemontesi alla mobilità e soprattutto alla scioltezza di lingua di Totò. In occasione della collaborazione con Totò, Macario ha avuto il grande merito di filtrare la tipica comicità dell’avanspettacolo, e di trasportarla con successo nel mondo del cinema. In questo è stato un vero precursore, anche se De Curtis ha saputo coltivare più a lungo questa prerogativa. In ogni caso il riscontro del pubblico è sempre stato assai positivo: ognuna di quelle non indimenticabili pellicole ha portato nelle sale italiane tra i due e i tre milioni di spettatori. Non c’è dubbio che, seppur così diversi tra di loro, il napoletano ed il torinese insieme facessero cassetta. I due tratteggiavano insieme una galleria di personaggi emblematici del costume, della ideologia sociale e della cultura dominante dell’epoca. Totò infatti incarnava il suo personaggio tipico, estroso, scaltro, capace di arrangiarsi in ogni situazione rovesciandola e ottenendo alla fine sempre quello che voleva, lasciando sfogare i suoi aspetti più esplicitamente partenopei. Macario, dal canto suo, continuava a presentare la sua maschera continuamente sottomessa, fintamente tonta che mai però rinunciava ad insinuare e a lasciare intendere. In quel periodo i due erano molto vicini anche fuori dal set, un’amicizia dovuta ad una profonda stima reciproca. Di quell’intensa collaborazione con Totò infatti, Macario serbava ricordi divertenti ma anche malinconici, comunque illuminanti circa l’esilità delle trame delle pellicole girate insieme all’attore napoletano. “Tutte le sere ci trovavamo nella casa romana di Totò in via Monte Parioli 4, per discutere le scene che avremmo dovuto girare il giorno dopo. Mentre il regista o un altro della troupe leggeva il testo, Totò mi prendeva la mano, si chinava al mio orecchio e chiedeva: “Che te ne pare Macà? Per me è una schifezza”. Ma non interveniva con alcun tipo di osservazione, tanto sul set avrebbe poi fatto di testa sua, inventando come nella Commedia dell’Arte. A quel tempo Totò era molto stanco e triste, si alzava a mezzogiorno, consumava un pasto leggero e alle due del pomeriggio si presentava sul set accompagnato in macchina dal suo segretario-autista. Era quasi cieco per la malattia agli occhi che lo aveva debilitato, e chiedeva che gli leggessero la scena che doveva girare. Ascoltava con attenzione, e poi pubblicamente affermava: “E’ una schifezza, proviamo un’altra cosa”. Breve pausa, e poi si rivolgeva a me: “Macà, che vogliamo fare?”. Lui improvvisava una battuta ed io gli rispondevo a tono. Due o tre prove al massimo; botta e risposta e la scenetta era combinata. Si ripeteva un paio di volte, giusto per consentire al regista di fare le sue annotazioni, quindi si cominciava a girare, sempre recitando a braccio”.

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Un fermo immagine tratto da “Totò sexy”, film del 1963 con protagonisti Totò e Macario.

Venne poi il 15 aprile 1967: anche per Macario e Nino Taranto un triste giorno che segnò le loro esistenze. Era morta una parte di loro, era morto Totò. La notizia della dipartita del suo grande amico, colse Macario mentre era impegnato negli ultimi preparativi del debutto della rivista “Pop a tempo di beat”. Fu Mauro Macario, il secondogenito dell’attore a comunicare al padre la triste notizia, abbracciandolo delicatamente. Macario padre, incredulo, diede le ultime indicazioni ai suoi collaboratori e se ne tornò in albergo stringendosi in un doloroso silenzio, certamente ricordando l’amico che non aveva potuto vedere per l’ultima volta. Nino Taranto, con il cuore straziato di dolore, dedicò invece, per Totò un orazione funebre, tra le lacrime, nel giorno del suo funerale:

Amico mio questo non è un monologo ma un dialogo perchè sono certo che mi senti e mi rispondi. La tua voce è nel mio cuore, nel cuore di questa Napoli che è venuta a salutarti, a dirti grazie perchè l’hai onorata. Perchè non l’hai dimenticata mai, perchè sei riuscito dal palcoscenico della tua vita a scrollarle di dosso quella cappa di malinconia che l’avvolge. Tu amico hai fatto sorridere la tua città, sei stato grande, le hai dato la gioia, la felicità, l’allegria di un’ora, di un giorno, tutte cose di cui Napoli ha tanto bisogno. I tuoi napoletani, il tuo pubblico è qui. Ha voluto che il suo Totò facesse a Napoli l’ultimo “esaurito” della sua carriera e tu, tu maestro del buonumore, questa volta ci stai facendo piangere tutti. Addio Totò, addio amico mio. Napoli, questa tua Napoli affranta dal dolore vuole farti sapere che sei stato uno dei suoi figli migliori e non ti scorderà mai. Addio amico mio, addio Totò”.

Domenico Palattella

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