Interprete di oltre 60 film, la figura di Renato Pozzetto è una delle più popolari nell’ambito della storia del cinema italiano. Assieme ad altre maschere divenute leggendarie, Pozzetto ha attraversato da assoluto protagonista oltre 20 anni di cinema italiano, quello degli anni ’70, degli anni ’80 e degli anni ’90. Dopo le prime esperienze nell’ambito del cabaret milanese e dopo il rapporto lavorativo con Cochi Ponzoni, con il quale approda in Rai, Pozzetto debutta sul grande schermo con Per amare Ofelia, nel 1974. E dal quel momento il cinema italiano scopre un nuovo artista, un nuovo attore raffinato, originale e poetico, quasi un nuovo Macario, però più audace, più ancorato alla realtà che lo circonda. La sua recitazione straniante, basata sulla mimica conquistano fin da subito il pubblico del cinematografo e l’attenzione di registi di prestigio come Steno, Alberto Lattuada, Sergio Corbucci e Dino Risi, solo per citarne alcuni. Dopo il successo dell’esordio, con il quale Pozzetto vinse sia il David di Donatello che il Nastro d’argento, gli autori delle sceneggiature successive, dipingono sulle sue caratteristiche i lavori che gli vengono offerti: il suo umorismo originale e surreale si fonde alla perfezione, con situazioni e ambientazioni tipiche della commedia all’italiana. L’arrivo di Pozzetto sul grande schermo è come un lampo nel deserto, perché arriva in un momento di profonda crisi generazionale, i ricambi scarseggiano e quei pochi tentativi furono destinati a cadere nel dimenticatoio. Prima di Pozzetto, Montesano o Villaggio, destinati, ognuno con le sue prerogative e con i suoi tempi, al grande successo, quasi tutti i tentativi di lanciare un protagonista comico diverso dai classici Tognazzi, Gassman, Manfredi e Sordi, o anche diversi dai classici Franchi & Ingrassia, assunsero contorni fallimentari. Per cui il personaggio di Pozzetto arriva a riempire un vuoto ed anche a rimpinguare, con la sua simpatia e la sua popolarità, le casse di famelici produttori e distributori. La stella di Pozzetto dunque si issa dalla metà degli anni ’70, almeno fino ai primi anni ’90, senza interruzioni di sorta. In mezzo a tanti titoli, anche degli ottimi film o addirittura dei capolavori comici come La patata bollente(1979), Saxofone(1979), Sono fotogenico(1980), Un povero ricco(1983), Il ragazzo di campagna(1984), 7 chili in 7 giorni(1987) o il trittico ispirato alle comiche del muto (Le comiche, Le comiche 2, Le nuove comiche), interpretato in coppia con Paolo Villaggio. Diverso e variegato lo stuolo di attori e attrici con il quale Pozzetto ha fatto coppia nei suoi lavori cinematografici, dai quali si può risalire attraverso questa iconografia in 16 immagini, tratte dai migliori film di Pozzetto e che in qualche modo omaggia la sua arte e la sua innata simpatia, quando a poco meno di 80 anni, il grande attore milanese può essere considerato alla stregua di un “Mito vivente”, conosciuto e amato un pò da tutte le generazioni.
All’esordio cinematografico, Pozzetto, con la sua faccia stralunata e i suoi monologhi strampalati, irrompe come un fulmine a ciel sereno, nel panorama cinematografico nazionale: suonava fin da subito, infatti, innovativa la sua comicità, che deformava i luoghi comuni di una realtà casalinga portandoli ad esiti surreali, pur restando saldamente ancorato ad appetiti concreti. Grande successo di pubblico per il film “Per amare Ofelia”(1974). Un David e un Nastro per l’attore milanese.Diretto da Marcello Fondato, in “A mezzanotte va la ronda del piacere”(1975), Renato Pozzetto ha l’occasione di lavorare con mostri sacri come Vittorio Gassman, Monica Vitti e Claudia Cardinale; e non fallisce il confronto. Campionario di luoghi comuni in salsa giudiziaria, tra tradimenti e tentati omicidi, con un cast di altissimo livello e un ragguardevole incasso al botteghino: oltre 4 miliardi.“Di che segno sei?”(1976) è formato da quattro episodi, flebilmente legati al filo delle credenze astrologiche. I quattro capitoli si dipanano sciorinando il meglio del parco attori italiani e contribuendo a formare quelle maschere che li renderanno grandi in futuro. Al di là di Sordi infatti, gli altri episodi vedono come protagonisti, uno alla volta, Paolo Villaggio, Adriano Celentano e Renato Pozzetto. Proprio quest’ultimo risulta essere il migliore nei panni di un povero muratore che amoreggia con una ragazza di alto bordo (Giovanna Ralli, che per curiosità ritrova a due anni di distanza dal suo film d’esordio). In foto Renato Pozzetto con Luciano Salce, regista e attore, suo grande estimatore.Renato Pozzetto con Dalila Di Lazzaro nel film “Oh, Serafina!(1976), per la regia di Alberto Lattuada. Una fiaba crudele, grottesca e tenera, tenuta insieme audacemente dalle goffagini di Pozzetto e dall’evidente bellezza prorompente della Di Lazzaro. Una delle prime prove davvero rilevanti per Pozzetto, diretto da un Maestro indiscusso come Lattuada.“Sturmtruppen”(1976), tratto dalle caustiche strisce di Bonvi, nelle mani di Salvatore Samperi gioca su una sequela di gag che non di rado centrano il bersaglio. Il punto forte del film è il cast, formato da attori affiatati e amici di vecchia data, tra cui Renato Pozzetto, Cochi Ponzoni, Lino Toffolo, Teo Teocoli e Massimo Boldi. La sceneggiatura è firmata dallo stesso Renato Pozzetto e da Cochi Ponzoni, mentre le musiche sono di Enzo Jannacci.Tutto quello che promette il titolo: folcklore e delitti, risate e misteri. “Giallo napoletano” appartiene a quel filone della commedia grottesca, dai risvolti drammatici, che a cavallo fra gli anni settanta e ottanta rispecchia la crisi politico-sociale in cui l’Italia e soprattutto il Sud erano precipitati. Un’Italia che si porta dietro vecchi retaggi (nel film si accenna alla persecuzione degli ebrei) ma soprattutto una Napoli ripresa con luce sinistra, immersa in un’atmosfera di terrore, lontana dallo stereotipo che l’ha resa famosa in tutto il mondo. O meglio, uno degli stereotipi, il mandolino, viene cambiato di segno, da positivo a negativo. Da veicolo di cultura, lo strumento diventa qui motore di una girandola di ricatti e omicidi che si intrecciano fra loro, favorendo in ultimo l’autodistruzione dei delinquenti. E Raffaele Capece, uomo semplice avvilito dalla poliomielite e da un padre arteriosclerotico (l’ultima apparizione cinematografica di Peppino De Filippo, che morirà nel 1980), subisce la furia dei prepotenti. Sergio Corbucci abbonda nelle citazioni fin dalla prima inquadratura, in cui accosta il maestro del brivido Alfred Hitchcock al principe della risata Totò per chiarire il senso del film e conduce bene un gioco di squadra in cui tutti gli attori fanno il loro dovere, dai divi ai generici, ma tra i quali spiccano un Mastroianni scatenato e mattatore della scena; un Peppino De Filippo al suo ultimo film; ed un giovane Renato Pozzetto, nei panni del tonto commissario milanese trapiantato a Napoli, che non sfigura accanto a mostri sacri del calibro di Mastroianni, di Peppino De Filippo e di Ornella Muti.Il debutto alla regia di Renato Pozzetto avviene nel 1978 con una favola surreale di tagli cabarettistico dal titolo “Saxofone”. Un film basato e giocato tutto sul surrealismo puro e sul nonsense. Giudicato dal Mereghetti come uno dei 100 migliori film comici di tutti i tempi, il film è volutamente esile, compiaciuto ma non supponente. Pozzetto nella piena del successo decise di realizzare un film tutto suo con la collaborazione di Jannacci e Beppe Viola per la stesura del soggetto e la storica compagnia di cabarettisti del Derby ad interpretare la folta squadra di personaggi che ruotano intorno al suo, ci sono proprio tutti: Porcaro in un doppio ruolo, Boldi pugile scarso, Abatantuono interronato come al solito e juventino in rodaggio pre eccezziunale, Andreasi dentista esperto di erezioni, Cochi prete investito e Teocoli tennista snob imborghesito. Ma il pezzo forte è ovviamente Saxofone, il Pozzetto migliore (insieme a LA PATATA BOLLENTE e DA GRANDE) che conosciamo: svagato, simpatico, impacciato. Il suo sassofonista vagabondo dallo spirito libero, girovaga con il suo ottone in una Milano surreale e incontra per caso l’annoiata Fiorenza, donna borghese sposata con un tennista dandy che rimane ammaliata dal suo stile di vita sganciato da ogni regola. Ne è venuto fuori un film leggero e trasognato dall’atmosfera surreale, una favola buffa e stralunata in cui i bambini sono responsabili (interpretati brillantemente dai figli di Pozzetto, Francesca e Giacomo) e gli adulti scorbutici, affaristi e insensibili. Un film pienamente nelle corde del suo autore, surreale, malinconico e poetico.“Agenzia Riccardo Finzi…praticamente detective”, commedia all’italiana gialla del 1979, vale a dire il periodo di massimo successo nella carriera di Pozzetto. La commedia all’italiana vecchia maniera, era ormai sul viale del tramonto, però non si può negare che questo giallo milanese sia abbastanza divertente e poggi quasi esclusivamente sulle solide spalle di Pozzetto e sul suo efficace repertorio comico-surreale.La risposta italiana al “Vizietto”, uscito l’anno precedente è con “La patata bollente”(1979), un piccolo grande capolavoro che affronta un tema d’attualità, ma allora scottante, ovvero la rivendicazione dei diritti dell’omosessuale. In questo film che è una commedia all’italiana a tutti gli effetti, il regista Steno utilizza uno splendido Renato Pozzetto (al meglio della sua candida forma) è un italiano medio diverso, perché fa l’operaio, è comunista, sta nel sindacato e lotta per la parità quasi per mestiere. Con un realismo involontario che solo la commedia sa portare in dote, Steno mette su un film sui principi della classe operaia che si rivelano essere assai simili a quelli di certa borghesia: il contatto col diverso, con l’omosessuale, attacca i presupposti machi dell’operaio e lo pone in ridicolo di fronte a tutto l’ipocrita mondo circostante, compresa la progressivissima sinistra che è in realtà più reazionaria di quanto si creda. Entra pure in gioco la donna del trio succitato (la più bella interpretazione di Edwige Fenech), reclamando l’uomo (forse) perduto con le tette che l’altro non ha (“sarà pure carino ma queste non ce l’ha!”), ma anche lei si accorge che la verità è un’altra. Curiosamente è un film che mette in scena la lotta e finisce per essere proprio un inconscio film di lotta che si schiera dalla parte dell’amore. Come dice Pozzetto: “prima o poi anche il partito dovrà occuparsi di quel problema lì”. Passati trent’anni, il problema resta lì. E’ insomma un film anticipatore dei tempi, realista nella sua descrizione, con una comicità che tocca spesso il segno, senza beceraggini e rispettando ogni scelta sessuale. Splendido e azzeccato il trio di protagonisti in uno dei migliori film (e anche tra gli ultimi) di Steno.Ultimo film memorabile del regista Dino Risi e probabilmente il migliore della carriera di Renato Pozzetto, “Sono fotogenico”(1980), scava nei meandri più cupi del mondo del cinema, tutt’altro che dorato; e lo fa servendosi del più Keatoniano dei nostri comici,quel Pozzetto che con la sua comicità stralunata e un filo surreale è la vera arma in più di questo film. Pozzetto infatti, è strepitoso e credibile, con la sua maschera stralunata, nei panni di un perdente che merita di essere tale, ma che smaschera la pochezza di chi lo circonda e di tutto ciò che circonda il magico, apparente, mondo dorato del cinema. Un film amaro, da classica commedia all’italiana degli anni d’oro, ma aggiornata ad un presente involgarito e incattivito.Film a due episodi (“Culo e camicia”) che si equivalgono come qualita’ artistica ,dove Montesano e Pozzetto la fanno da assoluti protagonisti.Non sarebbero nulla di speciale o di grande novita’ (a parte l’episodio di Pozzetto che fa l’omosessuale: spassosissimo)se non fosse che alla regia c’e’ il bravo Festa Campanile regista e fine umorista spesso sottovalutato.Una storia ai limiti del fantasy, quella de “La casa stregata”, sulle disavventure di due giovani sposini (Renato Pozzetto e Gloria Guida), alle prese con un bizzarro fantasma di un saracino. La comicità stralunata di Pozzetto, quasi erede dichiarato del più lunare dei comici italiani, ovvero Macario, si adagia perfettamente alla storia che è quasi una parodia degli horror della Hammer Film, con la chicca di un curioso Pozzetto che diventa Hulk nella scena dell’ultima rapina. Godibilissime sono le gag surreali che rompono l’equilibrio spazio-temporale, tutti elementi che regalano un tocco di mistero alla pellicola, ponendola in una dimensione quasi onirica.“Un povero ricco”(1983) è una commedia dignitosa, non una delle migliori di Pozzetto, però ha il merito di essere stata lo spunto ispiratore per Mel Brooks e il suo “Vita da cani”, in cui un ricco signore sperimenta quanto sia dura la vita di uno straccione. La trama è scorrevole, ha diversi momenti simpatici e godibili e riesce a divertire quanto basta nel mostrare come un ricco difficilmente riesca ad adattarsi a “fare” il povero. Ineccepibile, come sempre Pozzetto, ma ciò che non è ben inquadrato è la ragione che spinge il suo personaggio a sperimentare la miseria. Le motivazioni infatti appaiono bizzarre, nonsense ed esagerate, segno che in fase di scrittura il lavoro poteva essere fatto meglio. Comunque il film resta tra i più conosciuti dell’attore milanese.“Il ragazzo di campagna”(1984) è probabilmente il film più divertente di Renato Pozzetto, certamente il suo cult per eccellenza. La prima parte al paesello ( Borgo Tre Case , frazione di Borgo Dieci Case ! ! ) è un piccolo capolavoro di comicità surreale , ricca di scenette indimenticabili come quella del treno . Poi , quando l’ azione si sposta nella tentacolare metropoli , la vis comica cala leggermente ma restano gag notevoli , come quella con Severino e quella del minimonolocale, assolutamente geniale. Renato Pozzetto è protagonista assoluto , perfetto nel ruolo con il suo faccione stralunato , ben affiancato nei piccoli ruoli di contorno dalla brava Clara Colosimo , da Enzo Garinei e da Enzo Cannavale. Donna Osterbuhr invece è bona ma non sa proprio recitare.A fine 1985 esce nelle sale “Grandi magazzini”, uno dei film corali più famosi del decennio. Il cast è formato dal meglio del cinema italiano degli anni ’80: Lino Banfi, Christian De Sica, Enrico Montesano, Massimo Boldi, Paolo Villaggio, un grande “vecchio” come Nino Manfredi, e Renato Pozzetto, quest’ultimo negli esilaranti panni di un goffo addetto alle consegne. Campione di incassi al botteghino.Due medici di quart’ordine si inventano esperti in dietologia ed aprono una clinica per dimagrire, con il motto “7 chili in 7 giorni”. Quando la loro incapacità non sarà più occultabile, le cose si complicheranno fino a conseguenze non controllabili. Questa è la trama del film, gioiello della coppia Verdone-Pozzetto, la quale funziona perfettamente, con ingranaggi oliati e un’intesa invidiabile. Le battute e le situazioni sono efficaci e non si sconfina mai nel pecoreccio, al contrario di molti film comici coevi. Si ride, e moltissimo, con un ritmo serrato. La differenza con numerosi prodotti contemporanei è che la storia è ben architettata, con un bel po’ di situazioni e boutade da raccontare, in cui la vis comica dei due illustri attori protagonisti non è attutita, anzi viene evidenziata collocando entrambi in situazioni perfette (vedasi il rapporto di Paolone con Pozzetto o i rapporti con la Sora Rosa – Lella Fabrizi – con la quale interloquisce sempre e comunque Verdone!).Omaggio al cinema del muto e al genere slapstick, il trittico delle “Comiche”(1990), “Le comiche 2″(1991) e “Le nuove comiche”(1994), lascia il segno grazie all’accoppiata composta da Paolo Villaggio e Renato Pozzetto. Forse entrambi nel genere comico iniziano a sentire gli anni che passano, però come “ultimi fuochi”, questi delle comiche sono degli ottimi fuochi, considerato anche lo strepitoso successo di pubblico, che dà seguito ai seguiti. Gli omaggi toccano tutti i più grandi artisti del muto, da Laurel & Hardy a Keaton, toccando quà e là anche il gusto della gag fisica di Jerry Lewis.All’inizio degli anni ’90, Enrico Montesano e Renato Pozzetto intraprendono un proficuo sodalizio artistico. Uno romano, l’altro milanese, entrambi a loro modo, padroni incontrastati della commedia all’italiana…e dunque il risultato non può che essere positivo. Per la verità “Piedipiatti”(1991), riuscita commistione tra poliziesco, commedia all’italiana e commedia sentimentale, è il loro secondo film in coppia, dopo il film “Noi uomini duri”, datato 1987. La pellicola poggia tutta sulle spalle della coppia di attori, che, bisogna darne atto, non deludono le attese, anche e soprattutto nelle scene “serie” del film. E’ la storia di due poliziotti, appunto, che riescono a sventare un pericoloso traffico di droga. Dato che l’affiatamento c’era, l’amicizia c’era, e il successo pure, la coppia torna insieme due anni dopo nel film “Anche i commercialisti hanno un’anima”. L’abbinamento Montesano-Pozzetto aveva dato, fino ad allora, ottimi risultati commerciali, sia in film a episodi, o nei due titoli che girarono fianco a fianco, e dunque non faticarono ad accettare una nuova commedia da interpretare insieme, anche questa volta diretti da Maurizio Ponzi, che mette a confronto due diversi tipi di italiano. Quello pignolo, onesto, un pò troppo attento ai conti, e quello fanfarone, facilone e ciarlatano, accomunati dal fatto che entrambi sono commercialisti nell’Italia dell’avvento di Berlusconi in politica e ne esce fuori una non deprecabile fotografia efficace sul momento storico nazionale. Non male.