Sketch tratto da “L’avventura di un soldato”, episodio del film “L’amore difficile”(1962), con Nino Manfredi e Fulvia Franco

Il primo cortometraggio interpretato da Nino Manfredi corrisponde curiosamente con il suo esordio da regista, ovvero “L’avventura di un soldato”, tratto da “L’amore difficile”(1962). Peraltro si tratta di un esordio ammiratissimo da pubblico e critica, tanto che la vera e propria sorpresa del film è, infatti, proprio Nino Manfredi. Quì l’attore ciociaro è alle prese con uno spunto tratto da un racconto di Italo Calvino, rielaborato da Manfredi stesso, insieme ad Ettore Scola, che allora si dedicava soltanto alla sceneggiatura. A “L’avventura di un soldato” riesce perfettamente l’elaborazione di un discorso narrativo autenticamente visivo: tutto quello che Manfredi raffigura, lo esprime cinematograficamente. Una scelta, che come lo stesso Manfredi conferma, risponde a una determinazione fortissima: “Quando diressi L’avventura di un soldato, ero arrivato a un punto, nella mia carriera, in cui volevo vedere che cosa realmente avessi capito del cinema. In quell’episodio, per il grande amore che avevo per il cinema, ho voluto attenermi all’essenza stessa del cinema, alle immagini. Niente dialoghi, niente parole. Uno studio dei sentimenti, trattati cinematograficamente, come immagini e come ritmi. E dopo, così, mi sono fidato di fare un film intero come Per grazia ricevuta”. “L’amore difficile”, qui, è quello, raccontato quasi in tempo reale, del soldatino (Manfredi) che, in uno scompartimento ferroviario, indirizza con irriducibile testardaggine infiniti approcci alla vedova prosperosa (ma scultorea e taciturna), interpretata da una stupenda Fulvia Franco, che gli siede ora di fianco ora di fronte, e che riesce infine a possedere sul posto, giusto prima che lei scenda dal convoglio senza degnarlo d’uno sguardo. Risolto in un frammento spazio-temporale estremamente ridotto, il film stupisce per la modernissima perizia tecnica che rianima il boccaccesco realismo dell’intreccio: la macchina da presa effettua una vera e propria ricognizione prossemica sulle posture via via più contorsionistiche e improbabili assunte dal militare per ridurre con discrezione ( nello scompartimento i due non sono soli ) la distanza che lo separa dalla donna; il montaggio alterna efficacemente primi piani, dettagli anatomici, particolari “analitici” e piani d’insieme che puntualmente documentano gli effetti della strategia di avvicinamento. La volontà di costruire il racconto affidandosi ai mezzi peculiari del cinema si impone: l’episodio annovera non più di una dozzina di battute, appannaggio dei personaggi secondari ( un anziano e una donna con una bambina ) e totalmente ininfluenti sulla narrazione; il corteggiamento è rigorosamente muto, interamente devoluto all’arsenale di gesti, sguardi, smorfie del milite che s’infrange contro l’impassibile austerità della vedova statuaria, che però è consenziente. Questo breve e misconosciuto sketch è sicuramente uno dei piccoli gioiellini del nostro cinema, ed uno dei rari esempi di “erotismo”, in epoca in cui questo non era ancora consentito dalla morale democristiana e dalla censura cinematografica. E il corto fa anche di più, è talmente di qualità che lo spettatore non sente mai il bisogno di un rimando al testo originale: anzi, semmai è portato a chiedersi come questa novella potesse avere una forma diversa da quella cinematografica.

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