
Soprannominato il “signore della commedia all’italiana”, per il suo stile elegante, Gastone Moschin vive tra gli anni ’60 e gli anni ’80 il periodo migliore della sua carriera. Poliedrico come nessun altro nella sua capacità di passare da un genere all’altro senza mai fossilizzarsi in una sola tipologia di ruoli o di film. Attore di superbo talento, forse nessuno come lui, è stato in grado di sfornare tanti personaggi memorabili, rimasti nella memoria collettiva. Oltre 70 film interpretati nella sua gloriosa carriera ed una miriade di personaggi italici disegnati alla perfezione. Gastone Moschin, oggi 87enne, ha attraversato da protagonista la commedia all’italiana, ed è l’ultimo superstite di quella straordinaria stagione. Sono passati 41 anni dagli “Amici miei” e 50 da quel “Signore & Signori”, che è stato il primo capolavoro della sua carriera. Di anni ne sono passati, ma entrambe le pellicole sono attualissime ancora oggi, in cui si respira tutta la grandezza dell’Italia dell’epoca e tutta la poesia del grande cinema. Sarà proprio la saga delle avventure degli “Amici miei” e lo splendido ritratto della provincia veneta di “Signore e signori”, a regalargli i due Nastri d’argento della sua carriera. Tra i tanti personaggi memorabili, spicca ovviamente il ruolo dell’architetto Melandri della saga di “Amici miei”, iniziata nel 1975. Il personaggio della vita, in mezzo a tanti generi e tante interpretazioni sublimi, come quella del bieco Don Fanucci nel “Padrino II”(1974). Nel 1972 è l’ambiguo Ugo Piazza del celebre noir “Milano calibro 9”, di Fernando Di Leo, con al fianco Barbara Bouchet e Mario Adorf, uno dei film capostipiti del genere poliziesco. Lo stesso anno sostituisce Fernandel in “Don Camillo e i giovani d’oggi”. Nel 1973 è un convincente Filippo Turati ne “Il delitto Matteotti”. Nel 1974 viene chiamato da Francis Ford Coppola per il ruolo del bieco Don Fanucci ne “Il padrino – Parte II” e interpreta il crudele bandito detto Il Marsigliese nel poliziesco “Squadra volante” di Stelvio Massi, con Tomas Milian e Mario Carotenuto. Il personaggio del Marsigliese avrà successo tanto da essere citato in varie forme in numerosi polizieschi successivi. È ad ogni modo un ruolo brillante quello a cui Moschin deve la popolarità maggiore, vale a dire il ruolo dell’architetto inguaribilmente romantico Rambaldo Melandri, protagonista, al fianco di Ugo Tognazzi, Philippe Noiret, Adolfo Celi e Duilio Del Prete, della saga di Amici miei. Il primo film, diretto da Mario Monicelli, esce nel 1975 e si classifica al primo posto negli incassi della stagione. C’è poi un film di questi anni, che merita una menzione speciale, dal titolo chilometrico, ma davvero degno di considerazione: “Incensurato, provata disonestà, carriera assicurata cercasi”(1971). Un surreale e dissacrante film di satira politica sulla politica italiana anni ’70. Si ride di gusto con un meccanismo delle gag che ha un certo ritmo, e con un finale indovinato. Incontenibili la verve comica e la simpatia di Moschin. E’ la storia di un truffatore da strapazzo che per un equivoco viene nominato senatore della Repubblica e da qui scaturiscono tutta una serie di esilaranti disavventure. Ma ricostruiamo quì la carriera cinematografica del grande Gastone Moschin, attraverso i momenti clou del suo impegno di interprete a tutto tondo, che testimoniano la straordinaria bravura dell’attore più poliedrico della commedia all’italiana.
• L’esordio (1955)
Gastone Moschin fa il suo esordio cinematografico a soli 26 anni, nel 1955, grazie al melodramma di Anton Giulio Majano, dal titolo “La rivale”, con protagonista Anna Maria Ferrero. Rigorosa commedia drammatica sul senso dell’onore militaresco, che dà modo a Moschin di testare il nuovo genere, in attesa di ruoli futuri di primissimo piano.
• Le prime commedie all’italiana (1959-63)
Nel 1959 esordisce nella commedia all’italiana con il film “Audace colpo dei soliti ignoti”, ma il ruolo che lo farà emergere sarà quello del codardo Carmine Passante nel film “Gli anni ruggenti” del 1962. Di lì in avanti Moschin si dimostrerà una presenza assidua nelle commedie all’italiana alternando ruoli da protagonista a ruoli da spalla di lusso. Nel 1963 è un quarantenne deluso in “La rimpatriata” di Damiano Damiani e un camionista innamorato in “La visita” di Antonio Pietrangeli. Questi sono anni in cui si fa le ossa, lavorando per registi di grande talento.


• Arriva il grande successo (1964-66)
Tra il 1964 e il 1965, Moschin inizia a scalare le vette del cinema italiano e in particolare di quella commedia all’italiana che lo vedrà tra le massime védette. Nel 1964 è protagonista del cortometraggio “La doccia”, del film corale “Extraconiugale”, quasi un prototipo della commedia sexy degli anni ’70. Uno spaccato audace ed ironico del costume italiano, nel pieno del boom economico. Dell’anno successivo è invece il kolossal di Marco Vicario, dal titolo “Sette uomini d’oro”, strepitoso successo commerciale, nonché personale per Gastone Moschin. Una rivisitazione della formula dei Soliti ignoti, di più ampio respiro internazionale. Giudicato dal Morandini come il più scattante e divertente film italiano del decennio, ebbe un sequel (“Il grande colpo dei sette uomini d’oro”, del 1966) e un paio di imitazioni/variazioni (“Sette volte sette” del 1969 e “Stanza 17-17 palazzo delle tasse, ufficio imposte” del 1971) sempre con Moschin protagonista. Specialmente “Sette volte sette”, con la coppia Moschin-Vianello protagonista, risulta essere molto efficace nella sua riuscita parodia dei cosiddetti gangster movie stile 00-7.


• Il capolavoro di Gastone Moschin: “Signore & Signori”(1966)
Il 1966 è l’anno della definitiva consacrazione cinematografica di Gastone Moschin. E’ l’anno di “Signore & Signori”, capolavoro di Pietro Germi, considerato ancora oggi come una delle pietre miliari della commedia all’italiana. È una satira feroce sull’ipocrisia della provincia italiana nella stagione del boom economico, che racconta dalla prospettiva di una piccola città una realtà che riguarda l’intero Paese, costruita come un romanzo corale articolato in un trittico di storie che coinvolgono lo stesso gruppo di personaggi. “Signore e signori” è lo spietato ritratto del moralismo e delle ipocrisie di una borghesia gretta e conformista, di una quotidianità fatta di inganni e corruzione, di intrighi da ordire e invidie da covare. Con una struttura narrativa originale rispetto al canone dei film a episodi, tre storie si susseguono sullo sfondo di un’unica città e con gli stessi personaggi, che di volta in volta passano dallo sfondo al primo piano. La città, anche se mai esplicitato, è Treviso. Su tutti Gastone Moschin e Virna Lisi, in cui, tra tanto falso perbenismo e narcisismo, la loro storia d’amore clandestina sembra la cosa più veritiera del film. Incetta di premi nazionali e internazionali: Gran premio della Giuria a Cannes; 2 David di Donatello, a regista e produttore; 3 Nastri d’argento, alla sceneggiatura, a Gastone Moschin e ad Olga Villi.


• Tipi da commedia all’italiana (1968-69)
Dopo l’exploit di “Signore e signori” e dopo i successi nel filone dei cosiddetti “gangster movie all’italiana”, Gastone Moschin inizia a collezionare personaggi memorabili, grotteschi, cialtroni, tipici della commedia all’italiana, spesso al fianco di “mostri” come Manfredi e Tognazzi. Su tutti l’avvocato guascone di “Italian Secret Service”(1968) e quello onnipotente e cinico del grottesco “Sissignore” di Ugo Tognazzi, e in “Dove vai tutta nuda?” di Pasquale Festa Campanile, con Tomas Milian e Maria Grazia Buccella, interpreta un direttore di banca, che, benché ostenti un forte senso del pudore, non esita a concedersi di nascosto dalla moglie, occasioni piccanti. Non solo Sordi, Gassman, Tognazzi, l’italiano medio, ormai è anche Moschin. In una maniera diversa, ma di certo non meno efficace.


• Gli anni ’70: il decennio delle interpretazioni memorabili, dalla commedia all’italiana al poliziesco.
La poliedricità di Moschin si esprime anche nella capacità di passare da un genere all’altro senza mai fossilizzarsi in una sola tipologia di ruoli o di film. Nel 1969 Moschin esordisce nello spaghetti western con il commercialmente sfortunato “Gli specialisti”, di Sergio Corbucci. Nel 1970, stesso anno della sua partecipazione al “Conformista” di Bernardo Bertolucci, interpreta un raro esempio di film fantasy italiano, “L’inafferrabile invincibile Mr. Invisibile” di Antonio Margheriti. Nel 1971 è un laido monsignore in “Roma bene” di Carlo Lizzani, ma nello stesso tempo è anche protagonista del remake di “Crimen” una delle più riuscite commedie all’italiana degli anni ’60, dal titolo “Io non parlo, tu non vedi, lui non sente”, al fianco di Alighiero Noschese ed Enrico Montesano. Nel 1972 è l’ambiguo Ugo Piazza del celebre noir “Milano calibro 9”, di Fernando Di Leo, con al fianco Barbara Bouchet e Mario Adorf, uno dei film capostipiti del genere poliziesco. Lo stesso anno sostituisce Fernandel in “Don Camillo e i giovani d’oggi”, non deprecabile rifacimento delle avventure di Don Camillo e Peppone, privo però dei suoi interpreti originali. Nel 1973 è un convincente Filippo Turati ne “Il delitto Matteotti”. Nel 1974 viene chiamato da Francis Ford Coppola per il ruolo del bieco Don Fanucci ne “Il padrino – Parte II”, in cui non sfigura al fianco di artisti di calibro internazionale come Robert De Niro e Al Pacino; e interpreta il crudele bandito detto Il Marsigliese nel poliziesco “Squadra volante” di Stelvio Massi, con Tomas Milian e Mario Carotenuto. Il personaggio del Marsigliese avrà successo tanto da essere citato in varie forme in numerosi polizieschi successivi. Nello stesso anno è anche un solerte commissario di polizia nel film “Commissariato di notturna”, commedia gialla, grottesca e piena di luoghi comuni, che segna il suo ritorno alla commedia all’italiana, dopo le esperienze nel cinema di genere, delle annate precedenti. Degno di nota infine, anche “Incensurato, provata disonestà, carriera assicurata cercasi”, surreale e dissacrante film di satira politica sulla politica italiana anni ’70. Si ride di gusto con un meccanismo delle gag che ha un certo ritmo, e con un finale indovinato. Incontenibili la verve comica e la simpatia di Moschin, per una delle pellicole memorabili della commedia all’italiana degli anni ’70, oggi forse poco conosciuta.





• La trilogia degli “Amici miei”: il ruolo dell’architetto Rambaldo Melandri.
L’architetto inguaribilmente romantico Rambaldo Melandri è per Moschin, letteralmente il ruolo della vita, quello a cui deve la massima popolarità. Parliamo della saga di “Amici miei”, in cui Moschin è strepitoso protagonista al fianco di Ugo Tognazzi, Philippe Noiret, Adolfo Celi e Duilio Del Prete, poi sostituito da Renzo Montagnani. Il primo film, diretto da Mario Monicelli e ideato da Pietro Germi, che non potè iniziarlo perché già gravemente malato, esce nel 1975 e si classifica al primo posto negli incassi della stagione. Il successo è stato poi talmente enorme, che “Amici miei” è ancora oggi il secondo film più visto della storia del cinema italiano, e senza dubbio la serie cinematografica più famosa e celebrata. Il seguito, sempre diretto da Monicelli e con Renzo Montagnani che sostituisce Duilio Del Prete, esce nel 1982 e si rivela il terzo incasso stagionale ed il film italiano più visto dell’anno. Il terzo film, diretto da Nanni Loy, esce nel Natale del 1985, e pur avendo un successo inferiore, regala a Moschin un secondo Nastro d’Argento. il tema portante della pellicola è l’amicizia virile e la paura della morte, una commedia amara e disillusa, in cui la risata si alterna al senso di malinconia e di amarezza. Celeberrima la scena alla stazione con gli amici che schiaffeggiano i passeggeri affacciati ai finestrini, e il linguaggio surreale e nonsense utilizzato da Tognazzi, per spiazzare le vittime delle zingarate: la “supercazzola” entrata di diritto nel lessico familiare degli italiani. Tutti i cinque attori al loro massimo, in un affiatato gioco di squadra. Quella della saga di “Amici miei” è la storia di quattro amici d’infanzia: Rambaldo Melandri ( Moschin), architetto in cerca di una donna; Giorgio Perozzi ( Noiret), giornalista dedito alle avventure extraconiugali con un figlio che è il suo opposto; Raffaello Mascetti ( Tognazzi), nobile decaduto ridotto a vivere in un sottoscala, e Guido Necchi ( Del Prete, poi Montagnani), che gestisce con la moglie il bar in cui il gruppetto si ritrova. Gli amici si dilettano nell’organizzazione di impegnativi scherzi e burle clamorose, a volte feroci, che non risparmiano nessuno e che li distraggono dalle loro miserie. Ai tre si aggiunge l’apparentemente serioso dottor Alfeo Sassaroli ( Celi), medico annoiato che diventerà presto uno dei pilastri del gruppo. Il motore più o meno inconscio di queste zingarate è il tentativo di esorcizzare la vecchiaia e la morte.

“E chi poteva immaginare che il film sarebbe diventato una specie di mito? Spesso mi chiedo come sia stato possibile. Credo per la freschezza della sceneggiatura, la felicità della scrittura che prendeva spunto da episodi accaduti davvero o che si raccontavano nei bar. E poi quella libertà della lingua, compresa qualche parolaccia camuffata, che nei film dell’epoca non c’era. Erano anni diversi, era un’Italia nella quale si poteva ancora ridere”. (Gastone Moschin)

“È arcinoto il fatto che, nella scena degli schiaffi alla stazione, le comparse non sapevano che avrebbero ricevuto dei veri ceffoni. Ma tra i più divertenti c’è, nel secondo film, l’episodio della Torre di Pisa, a rischio crollo, sorretta dai passanti. Mentre stavamo girando la scena arrivò un pullman di turisti giapponesi, Monicelli li fece chiamare e li coinvolse per sostenere la torre. Loro non capirono bene che cosa stava succedendo, ma parteciparono “. (Gastone Moschin)

“È un film che fa ridere, ma non è comico. È velato dalla malinconia della mancanza di Germi, che a volte pervadeva il set. La malinconia della domenica sera in attesa del lunedì, come nella scena delle giostre, dove facciamo i conti con il ritorno, il giorno successivo, alla vita reale. Il clima era sereno e fare il film fu uno spasso anche se faticoso perché il copione doveva essere seguito in modo rigoroso. L’improvvisazione c’era solo nel coinvolgimento e nella reazione delle comparse, come nella scena degli schiaffi”. (Gastone Moschin)
• Gli anni ’80: continuano i personaggi memorabili
Questo decennio è nella carriera di Moschin quantitativamente meno intenso, pur regalando altre interpretazioni degne di nota, come il deputato comunista di “Si salvi chi vuole” di Roberto Faenza, il potente ministro di “Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada”, di Lina Wertmüller; oppure il sedicente barone della “Compagna di viaggio”, che organizza l’ingegnoso furto di un vagone portavalori, con l’aiuto di un’attricetta di cui è innamorato.


Domenico Palattella