
I due attori, quasi coetanei, Fernandel nacque a Marsiglia nel 1903, ma era originario di Perosa Argentina in provincia di Torino; e Gino Cervi nel 1901 a Bologna, si conobbero sul set del primo film della serie delle avventure di Don Camillo e Peppone, nel 1951, e divenirono da subito grandi amici, tanto che i due attori fecero da testimoni al matrimonio di Carlotta Guareschi, figlia dello scrittore Giovannino Guareschi. Il sodalizio artistico e personale tra i due attori fu talmente profondo, che quando Fernandel morì (sul set del sesto film della saga, quel “Don Camillo e i giovani d’oggi”, poi mai finito di realizzare) nel 1971, Gino Cervi si rifiutò di proseguire l’opera. Gli atti successivi della saga, infatti, vennero girati con attori differenti ed ebbero uno scarso successo di pubblico. Insieme interpretarono sette film, dei quali cinque inerenti i personaggi di Don Camillo e Peppone, e due indipendente dalla serie, dal titolo rispettivamente “Noi gangster”(1959) diretto da Henry Verneuil e “Il cambio della guardia” del 1962, diretto da Giorgio Bianchi. Capolavori misconosciuti, di grande pregio artistico, offuscati dai due personaggi che avevano reso celebre la coppia, ma che però meritano davvero di essere ricordati. Se “Noi gangster”, realizzato in Francia con il titolo di “Le grand chef”, poi distribuito anche sul territorio nazionale, rientra nell’ambito della farsa o comunque della commedia brillante; “Il cambio della guardia” è invece un chiaro film in costume, che tratta con sagacia, amarezza e un pizzico di commozione, un periodo delicato della storia d’Italia, quello dell’arrivo degli alleati a fine seconda guerra mondiale. Entrambi i film, ciascuno nel proprio genere di appartenenza, hanno avuto un grande successo di pubblico, e davvero rasentano il capolavoro. Vuoi per la straordinaria presenza scenica di eccezionale impatto visivo dei due attori, che sono a dir poco epici; vuoi per l’efficacia e per la confezione finale di entrambe le pellicole, lineari, garbate, divertenti, avvolte da una vena malinconica inserita nel contesto di una riuscita satira sociale degli avvenimenti. Henry Verneuil e Giorgio Bianchi, registi rispettivamente di “Noi gangster” e “Il cambio della guardia” sanno utilizzare al meglio il duo comico, riuscendo nell’impresa di separare la coppia dall’immaginario ingombrante di Don Camillo e Peppone, e creando due film che nulla hanno a che fare con la serie di Giovannino Guareschi. E il risultato ottenuto è più che eccellente, considerato il successo popolare dei due celebri personaggi, che ormai per tutti hanno le loro sembianze e le loro facce. In “Noi gangster”, girato nell’inverno del 1959, tra il terzo e il quarto film della serie di Don Camillo e Peppone, Gino Cervi e Fernandel sono due poveracci che rapiscono un bambino talmente pestifero che pagheranno loro pur di restituirlo ai genitori. Il riferimento è all’opera di O.Henry, pseudonimo di William Sidney Porter, Il riscatto di Capo Rosso, già filmato da H.Hawks in “La giostra umana”. Eppure il film è divertentissimo, paradossale, surreale, tenuto in piedi da una coppia di attori molto affiatata. La location del film è chiaramente la Parigi di fine anni ’50 ed è una riuscita parodia dei film di gangster holliwoodiani, che andavano di moda oltre oceano. Ma al di là del chiaro affiatamento tra i due mattatori, quel che colpisce della pellicola, è il suo stile innovativo, parecchio precursore dei tempi. D’altronde il regista è un talento sottovalutato come Henry Verneuil, che faceva dell’originalità il suo cavallo di battaglia. In questo film è presente un’effetto importante quello della dissolvenza incrociata . Una scena presenta dissolvenza in chiusura e mentre si scurisce la prima scena s’intravede inquadratura dell’ inizio della seconda senza vedere mai lo schermo nero. Non ci sono stacchi ma un passaggio soft da una scena all’altra. Oppure è presente anche la doppia dissolvenza. Due scene in cui la prima dissolvenza è in uscita, schermo nero e poi dissolvenza in entrata che introduce seconda scena. Un terzo effetto è lo stacco semplice, abbiamo sfondo nero di pochi secondi e nuova scena.La musica è ovviamente quella tipica dei gangster-movie holliwoodiani.


“Il cambio della guardia”, invece, è girato nell’estate del 1962, dopo il successo che “Don Camillo monsignore…ma non troppo”, aveva ottenuto appena l’anno precedente. Come per il caso francese di “Noi gangster”, produttori e sceneggiatori ci riprovano a separare la celebre coppia dalle loro ingombranti maschere. Giorgio Bianchi ha per le mani una sceneggiatura importante, di quelle in voga in quegli anni, ispirate alla recente storia italiana del fascismo e della seconda guerra mondiale, come “Il federale”, “Anni ruggenti” o “La marcia su Roma”. La pellicola tratta dal romanzo “Avanti la musica” di Charles Exbrayat, narra la storia di due amici, Mario e Attilio ( Gino Cervi e Fernandel) ai tempi dell’arrivo degli alleati a fine seconda guerra mondiale.Se nella saga di “Peppone e Don Camillo”, Cervi ha sempre fatto il comunista e Fernandel il prete cattolico, qui ad Ardea le cose si sono ribaltate. Cervi ha recitato la parte del gerarca fascista e Fernandel dell’antifacista. Nella coproduzione italo-francese – filmata sulla rocca della città – il podestà di Ardea, Mario Vinicio ( Cervi), dà i poteri a un antifascista, Attilio Cappellaro ( Fernandel),tanto i loro due figli stanno per sposarsi e tutto rimane dunque in famiglia. Ma sorgono degli inconvenienti, perché gli americani tardano ad arrivare e i gerarchi fascisti mettono loro i bastoni tra le ruote. A fine film, finalmente arrivano le truppe alleate e la commedia si chiude con la commozione della Liberazione tanto auspicata. La coppia Fernandel-Cervi dimostra di funzionare e di convincere, anche al di là dei loro personaggi più celebri, considerato che il film è una commedia popolare molto pungente, e riflette la moda dei film storici dell’epoca ambientati nella seconda guerra mondiale o poco dopo. “Il cambio della guardia” è una commedia spiritosa, ottimamente scritta e interpretata, ineccepibile storicamente e non priva di mordente; e certe piccole cadute nella farsa non bastano a comprometterne il tono medio, che è quello di una comicità seria e comunque dal fondo amaro. Per cui appare ingiusta la dimenticanza in cui il film è caduto, specie se confrontata all’esaltazione di certi contemporanei film seri d’argomento fascista, francamente inferiori. Ma si sa: prendere le cose serie sul ridere non è mai stata una peculiarità dell’intellighenzia italiana, molto più portata a prendere le cose ridicole sul serio. Nei personaggi di Fernandel e di Cervi, matura nel corso del film, il moto di ribellione nei confronti dell’oppressore nazi-fascista. Cervi che qui interpreta il podestà del paese, fin dall’inizio del film matura il cambiamento dentro di sè, accorgendosi che ormai non se ne può più della guerra, dei fascisti, dei nazisti e attende con ansia l’arrivo delle truppe alleate, che sono già sbarcate ad Anzio, ma non riescono ad arrivare ad Ardea e poi a Roma. Ecco qui avviene il moto di ribellione dei due amici, che sono consuoceri e che rappresentano l’italiano medio che ha finalmente il suo grande momento, il suo atto di rivolta imprevisto e conclusivo, come quelli di tante commedie all’italiana dell’epoca (“La grande guerra”, “Tutti a casa”, “Una vita difficile”). Tra sotterfugi e piccoli stratagemmi riescono a tener testa ai pochi fascisti rimasti in paese, fino all’arrivo degli americani, prendendo le distanze dall’oppressore nazi-fascista. Il finale è una festa, anche commovente e realista, con l’arrivo delle truppe alleate a prendere possesso del comune di Ardea e liberare finalmente la cittadina, così come stava accadendo, a poco a poco in tutti i comuni italiani, risalendo la penisola. Ma Ardea è pochi chilometri a sud di Roma, ed anche pochi chilometri a nord di Anzio, per cui la liberazione della cittadina significava strada spianata verso la Liberazione della Capitale, e soprattutto che Littoria, l’odierna Latina, roccaforte dei fascisti, era stata conquistata dall’esercito alleato. La scelta di ambientare e girare il film ad Ardea non è stata dunque casuale, considerato che la cittadina è posta tra Anzio e Roma e attraverso di essa passava la linea Caesar, l’ultima linea difensiva tedesca prima della Capitale. Grande successo di pubblico, per un film da riscoprire ed una coppia da esaltare.


Sia Fernandel che Cervi hanno avuto modo di dimostrare nel corso delle loro lunghe carriere, il loro enorme talento interpretativo e la loro poliedricità di attori di eccelso livello anche quando impiegati singolarmente, ma certo la coppia insieme è tutta un’altra cosa. E’ un piacere per gli occhi e per le orecchie vederli recitare insieme, affannarsi vestiti da prete e da sindaco comunista, oppure da fantomatici e goffi gangster parigini, o ancora vederli resistere all’oppressore nazista in un piccolo paesino della Ciociaria. Insomma, quella di Gino Cervi e di Fernandel è la storia di due grandi amici, di due grandi attori, che hanno attraversato universalmente quella di due differenti cinematografie, riuscendo nell’impresa di fondere in un tutt’uno l’anima italiana con quella francese, profondamente diverse, anche cinematograficamente. Fernandel e Gino Cervi hanno saputo a poco a poco entrare nelle coscienze e nei cuori della gente, così in profondità da superare quella barriera spazio-temporale, che spesso è la differenza tra attori ritenuti retrò e attori, che in un certo senso rimangono allo scorrere impetuoso del tempo, delle mode e dei gusti che mutano in fretta. Ebbene loro ci sono, oggi più che mai, grazie alla loro freschezza interpretativa, alla loro splendida vis comica, anche e non solo quando sono Peppone e Don Camillo. E una prova della loro estrema bravura, sono proprio “Noi gangster” e “Il cambio della guardia”, che andrebbero visti e riscoperti per capire la grandezza di due attori formidabili. E se la sfortuna, o peggio, la morte non si fosse messa di mezzo troppo presto, avremmo avuto anche l’ottavo film di coppia, ovvero quel “Don Camillo e i giovani d’oggi”(1971), iniziato e mai finito per la sopraggiunta dipartita di Fernandel, che sarebbe stato l’ultimo film della serie e l’ultimo insieme di una grande coppia di amici, la quale non cadrà mai nell’oblio o nel dimenticatoio, ma sopravviverà allo scorrere degli anni, con o senza la tonaca, o con o senza i baffoni da comunista. Lunga vita a Fernandel e Gino Cervi dunque, miti del cinema con la C maiuscola.

Domenico Palattella
visti e riscoperti per capire
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