Il cinema sociale e politico: il genere del film-inchiesta nei cupi anni ’70 e la figura di Gian Maria Volontè

Gian Maria Volontè, il simbolo italico di un certo tipo di cinema, quello del film inchiesta che partendo dall'analisi neorealista dei fatti, aggiunge a essi un conciso giudizio critico, con il manifesto intento di scuotere le coscienze dell'opinione pubblica.
Gian Maria Volontè, il simbolo italico di un certo tipo di cinema, quello del film inchiesta che partendo dall’analisi neorealista dei fatti, aggiunge a essi un conciso giudizio critico, con il manifesto intento di scuotere le coscienze dell’opinione pubblica. Strepitoso nel film di Elio Petri, “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”(1970), il capolavoro del genere, che vinse l’Oscar come miglior film straniero.

Il cinema d’autore degli anni ’60 continua il proprio percorso affrontando tematiche differenti. Dalle vene surreali ed esistenziali di Fellini e Antonioni si emancipa una nuova visone autoriale che vede nel cinema un mezzo ideale per denunciare corruzioni e malaffare, sia del sistema politico che del mondo industriale. Nasce così la struttura del film inchiesta che partendo dall’analisi neorealista dei fatti, aggiunge a essi un conciso giudizio critico, con il manifesto intento di scuotere le coscienze dell’opinione pubblica. Tale tipologia tocca volutamente questioni scottanti, spesso prendendo di mira il potere costituito, con l’intento di ricostruire una verità storica il più delle volte negata o celata. Vero precursore di questo modo di intendere il mestiere del regista è il maestro napoletano Francesco Rosi. Dopo essere stato sceneggiatore e aiuto regista di Luchino Visconti, nel 1958 dirige la sua prima pellicola “La sfida”, a cui segue un anno dopo I magliari (1959), che vede come primi attori Alberto Sordi e Renato Salvatori. Nel 1962, inaugura il progetto dei film-inchiesta ripercorrendo, attraverso una serie di lunghi flashback, la vita del malavitoso siciliano Salvatore Giuliano. L’anno successivo dirige Rod Steiger ne Le mani sulla città (1963, restaurato nel 2014), nel quale denuncia con coraggio le collusioni esistenti tra i diversi organi dello Stato e lo sfruttamento edilizio a Napoli. La pellicola viene premiata con il Leone d’Oro al Festival di Venezia.

Un primo piano del regista Francesco Rosi.
Un primo piano del regista Francesco Rosi.

Questi film sono generalmente considerati i capostipiti del cinema ad argomento politico, che vedrà spesso, la recitazione duttile e spontanea di Gian Maria Volontè. Uno dei punti di arrivo del percorso artistico di Francesco Rosi è senz’altro Il caso Mattei (1972); un rigoroso documento in cui il regista cerca di far luce sulla misteriosa scomparsa di Enrico Mattei, manager del più importante gruppo statale italiano: l’Eni. La pellicola, con Gian Maria Volonté protagonista, vince la Palma d’oro al festival di Cannes e diviene un vero modello per analoghi film di denuncia civile prodotti nei successivi decenni (a partire dal cinema di Costa-Gravas e più avanti dal film JFK – Un caso ancora aperto di Oliver Stone). Il regista napoletano fu vincitore di 10 David di Donatello, nel 2008 ha conseguito l’Orso d’Oro alla carriera e successivamente, nel 2012, il Leone d’Oro sempre alla carriera. I movimenti studenteschi, operai ed extra-parlamentari della fine degli anni ’60 e quelli del decennio successivo influenzeranno molte arti, in particolar modo il cinema, che sviluppa sulle orme di Rosi un percorso socialmente e politicamente impegnato. In questo contesto nuovi registi continuano e potenziano l’opera del regista napoletano; tra questi il più attivo è l’autore romano Elio Petri, che utilizza il discorso politico in un’ottica di superamento e completamento del cinema neorealista. A tal proposito il regista milanese dichiara: «Il “Neorealismo” se non è inteso come vasta esigenza di ricerca e di indagine, ma come vera e propria tendenza poetica, non ci interessa più. Occorre fare i conti con i miti moderni, con le incoerenze, con la corruzione, con gli esempi splendidi di eroismi inutili, con i sussulti della morale: occorre sapere e potere rappresentare tutto ciò».

Gian Maria Volonté, qui in Uomini contro (1970) di Francesco Rosi.
Gian Maria Volonté, qui in Uomini contro (1970) di Francesco Rosi.

Dopo aver lavorato con Alberto Sordi nel film Il maestro di Vigevano (1963), verso la metà degli anni ’60, Elio Petri stringe un autentico sodalizio con l’attore e alter ego Gian Maria Volontè, protagonista di punta del cinema d’impegno civile di quegli anni. Tra i loro film vanno ricordati: A ciascuno il suo (1967), tratto da un romanzo di Leonardo Sciascia, La classe operaia va in paradiso (1971), corrosiva satira sulla vita in fabbrica (vincitrice della Palma d’oro a Cannes) e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970). Quest’ultimo (sorretto dall’incisiva colonna sonora di Ennio Morricone) è un asciutto thriller psicoanalitico incentrato sulle aberrazioni del potere, analizzate in chiave sulfurea e patologica. La pellicola, tra le più note del regista, ottiene un vasto consenso, aggiudicandosi l’anno seguente l’Oscar al miglior film straniero. Nel 1976 poi, Petri porta al cinema un altro romanzo di Sciascia, Todo modo, che racconta il grottesco decadimento di una classe dirigente, rifugiatasi in un albergo-eremo, allo scopo di praticare esercizi spirituali. Il film si avvale delle interpretazioni di Gian Maria Volontè, Marcello Mastroianni, Mariangela Melato e Ciccio Ingrassia. Evidenti tematiche proprie del cinema d’impegno civile si ritrovano nell’opera di Damiano Damiani, che con Il giorno della civetta (1967) (con attori come Franco Nero e Claudia Cardinale), conosce un notevole successo. Altri lungometraggi da citare sono: Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica (1971), L’istruttoria è chiusa: dimentichi e Girolimoni, il mostro di Roma (1972), Perché si uccide un magistrato (1974, quasi profetico su ciò che accadrà vent’anni dopo ai giudici anti-mafia Falcone e Borsellino) e Io ho paura, del 1977. Si menziona, inoltre, Giuliano Montaldo, che dopo alcune esperienze come attore mette in scena alcune pellicole di carattere storico e politico come Gott mit uns (1970), Sacco e Vanzetti (1971) e Giordano Bruno (1973). A seguire, di estrema importanza risulta il duro e realistico Detenuto in attesa di giudizio (1971), di Nanni Loy, con protagonista un insolito Alberto Sordi. Il film del regista sardo è una sorta di incubo kafkiano, perfettamente calato nella realtà sociale del tempo. La pellicola ha suscitato ampio scalpore, in quanto, per la prima volta, un’opera cinematografica denunciava la drammatica arretratezza dei sistemi giudiziari e carcerari italiani.

Alberto Sordi in Detenuto in attesa di giudizio (1971) di Nanni Loy.
Alberto Sordi in Detenuto in attesa di giudizio (1971) di Nanni Loy.

Anche se non strettamente legato alla realtà italiana si può inoltre ricordare, La battaglia di Algeri (1966), dell’autore toscano Gillo Pontecorvo. L’opera è una vibrante ricostruzione degli eventi civili e militari che portarono l’Algeria all’indipendenza dal colonialismo francese, rievocata con un rigore e uno stile prossimi a molti cinegiornali dell’epoca. Acclamato da critica e pubblico, Il film (Leone d’oro a Venezia), è divenuto nel tempo una delle opere italiane più conosciute nel mondo. Nel 1969 Marlon Brando è il protagonista di un nuovo film politico sempre diretto da Pontecorvo: Queimada, che descrive le sopraffazioni del colonialismo e la rivolta dei popoli oppressi in un paese del Sud America. Da ultimo, Il regista pisano affronta, nel 1979, il tema della resistenza antifranchista basca in Ogro, con Gian Maria Volonté, raccontando la vicenda dell’attentato all’Ammiraglio Luis Carrero Blanco, avvenuto nel 1973. Un altro regista legato al cinema politico e d’impegno sociale è l’emiliano Florestano Vancini, che nelle sue opere più riuscite ha coniugato la robustezza della ricostruzione storica con il resoconto di crisi sentimentali e soggettive. Tra le sue opere più note si ricordano: La lunga notte del ’43 (Premio per l’opera prima al Festival di Venezia del 1960), Le stagioni del nostro amore (1966) e Il delitto Matteotti (1973).

Un primo piano del regista Gillo Pontecorvo.
Un primo piano del regista Gillo Pontecorvo.

♦ Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e la figura di Gian Maria Volonté.

Ma il capolavoro del genere, e che merita un discorso a sè, è “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”(1970), di Elio Petri e interpretato magistralmente da Gian Maria Volontè. Uno splendido thriller psicoanalitico sulla cristallizzazione e le aberrazioni del potere che analizza in chiave grottesca i metodi e i fini degli apparati polizieschi. Il film attribuisce poi, ai rappresentanti del potere un’eccessiva coscienza ( ancorchè negativa) del proprio ruolo e della propria funzione. Resta molto convincente, anche per merito della perfetta interpretazione di Gian Maria Volonté, la descrizione di “un piccolo personaggio della piccola borghesia meridionale che non ha la possibilità di accesso a un potere diverso da quello burocratico e che sfoga nell’autorità le sue repressioni sessuali e di classe”. Indimenticabile colonna sonora di Ennio Morricone, come anche il discorso di Volonté nella scena dell’insediamento all’ufficio politico che termina con la celeberrima e amarissima frase: “la repressione è il nostro vaccino, repressione è civiltà”. Il film in questione è il primo di una trilogia di cui fanno parte anche “La classe operaia va in paradiso”(1971)“La proprietà non è più un furto”(1973), nato dalla collaborazione di Ugo Pirro con il regista Elio Petri, e di Gian Maria Volontè con entrambi. La storia di “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” narra del capo della squadra omicidi di Roma, appunto Volonté, che nel giorno della sua promozione all’ufficio politico uccide l’amante ( Florinda Bolkan). Con la tecnica del flashback, la narrazione prosegue spiegando in parte la relazione sadica tra i due, e in parte gli avvenimenti successivi al delitto. Dapprima il dirigente di polizia depista le indagini e ingaggia un duello con il rivoluzionario Pace, che lo ricatta. Poi, affinché vinca l’ordine, cerca di punirsi, spargendo prove e indizi che lo incastrano per scoprire però che la sua posizione lo rende immune da qualsiasi accusa. Il finale, aperto, moltiplica l’ambiguità su quest’uomo che incarna ogni vizio del potere in Italia ( e non solo). Uno splendido giallo alla rovescia dalle tinte psicoanalitiche, intriso di riferimenti kafkiani e toni grotteschi. Anche Brecht fu considerato un modello per il timbro surreale della pellicola e per la tensione tra avvenimenti sempre più paradossali e discorso critico nei confronti della società. In tal senso, la colonna sonora del maestro Ennio Morricone fece epoca, proprio per la combinazione ardita di elementi popolari e ricerca espressiva. Grande impressione destò infine, anche l’interpretazione memorabile di Gian Maria Volonté, grazie alla costruzione di un personaggio che è un fascio di nervi, con muscoli tesi ed espressioni dure, a metà tra l’onnipotenza e lo smarrimento di fronte all’insensatezza delle forme astratte del potere, con significative metafore sessuali. Anche per le altre due opere successive, del duo Petri-Volontè, sono confermate in pieno le lodi ad entrambi, ed il forte significato critico-sociale dei loro lavori.

Il regista Elio Petri, uno dei grandi maestri del cinema italiano, e vincitore del premio Oscar per
Il regista Elio Petri, uno dei grandi maestri del cinema italiano, e vincitore del premio Oscar per “Indagine su un cittadino al di spora di ogni sospetto”.

Per quanto riguarda Volonté ottenuta la notorietà (Felice Laudadio lo definì “il più grande attore italiano del suo tempo”), decide di dedicarsi ad un tipo di cinema più politicamente impegnato, recitando nel corso degli anni ’70, in film come Uomini contro di Francesco Rosi (1970), Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo (1971), Il caso Mattei di Francesco Rosi (1972) e Sbatti il mostro in prima pagina di Marco Bellocchio (1972). Ma è soprattutto con Petri e con Rosi che Volonté ha modo di esprimere in piena libertà il suo talento, dando vita ad una miriade di “uomini illustri” rappresentanti una dura critica alla classe dirigente dell’epoca, divenendo quindi un punto di riferimento del cinema d’impegno civile italiano. Parallelamente alla sua carriera d’attore, Volonté vi accosta un assorto attivismo politico portando avanti numerose battaglie, manifestazioni e scioperi per i diritti dei lavoratori e partecipando alla realizzazione dei Documenti su Giuseppe Pinelli (1970). Verso la fine degli anni ’70 Volonté passa un breve periodo di crisi a causa dell’insuccesso di Todo Modo (1976), grottesco film di denuncia sugli introiti della Democrazia Cristiana, che sancisce nonostante la straordinaria interpretazione di Volonté la fine del cinema politico italiano e segna la rottura tra Petri e Volonté. Sempre negli anni ’70 Volonté fu chiamato a prendere parte a tre importanti film: Il padrino di Francis Ford Coppola, Novecento di Bernardo Bertolucci e Padre padrone dei fratelli Taviani, ma per motivi sconosciuti non prese parte ai progetti; Novecento probabilmente lo rifiutò per il fatto di aver già preso impegno in Actas de Marusia: storia di un massacro. Negli anni ’80 Volonté riprende la propria attività attoriale con film come La morte di Mario Ricci di Claude Goretta (1983)e soprattutto Il caso Moro di Giuseppe Ferrara (1986), che fu il primo film a narrare l’intera vicenda del rapimento di Aldo Moro, con l’interpretazione del grande stagista pugliese affidata a Gian Maria Volonté. Il film è assolutamente neutrale, gli stati d’animo del presidente sono quelli che si evincono dalle lettere scritte da lui stesso e l’interpretazione di Gian Maria Volontè è sublime. Perfetta la ricostruzione storica dei 55 giorni del rapimento di Aldo Moro: dalla strage di via Fani fino al rinvenimento del corpo del presidente della Democrazia Cristiana in via Caetani. La pellicola mostra gli eventi che hanno caratterizzato quei giorni; mancano i riferimenti complottisti a ipotesi che sono emerse solo negli anni successivi, come per esempio la presenza di un ufficiale del Sismi nei pressi di via Fani la mattina dell’agguato e i contatti tra Stato e organizzazioni criminali (camorra, banda della Magliana, questa per altro ancora in auge nel 1986) per l’individuazione della prigione di Moro. Vi sono anche alcune scelte artistiche in contrasto con la realtà storica accertata, come il mancato uso di passamontagna da parte dei brigatisti e la figura di Don Stefani che entra nel covo della BR, fatti mai accaduti.

Un profondo primo piano di Gian Maria Volontè, sul set di uno dei suoi tanti film.
Un profondo primo piano di Gian Maria Volontè, sul set di uno dei suoi tanti film.

Domenico Palattella

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