Il cinema italiano degli albori: dalla fine dell’800 all’avvento del sonoro. La nascita dei festival di Venezia e di Cannes.

Un'immagine del film
Un’immagine del film “Assunta Spina”. Siamo nel 1915 e la protagonista è l’attrice Francesca Bertini, la prima grande diva del cinema italiano, ovviamente di quello muto.

La prima presentazione ufficiale del Cinematografo Lumière in Italia ha luogo il 13 marzo 1896, presso lo studio del fotografo Henry Le Lieure in vicolo del mortaro a Roma. Seguono a breve altre proiezioni a Milano, Torino e Napoli. Il milanese Italo Pacchioni, che ha all’attivo vari tentativi di animazione della fotografia, nei primi mesi del 1896 tenta invano di ottenere dai Lumière un esemplare del loro cinematografo. Tornato a Milano, sulla scorta di quello visto a Parigi, costruisce da sé un apparecchio da presa e da proiezione che adopera pellicola Lumière a due perforazioni laterali ed è dotato di due finestrelle con obiettivi appaiati per effettuare riprese con effetto stereoscopico. Di lì a poco, con notevoli risultati tecnici, rifà un “Arrivo del treno alla stazione di Milano”. Seguono alcune comiche, tra cui “La gabbia dei matti”“Il finto storpio”. Nell’Italia di fine ‘800 i film dei Lumière, di Méliès e di Edison si vedono per le strade o alle fiere. Nei primi anni del ‘900 è grandissimo il contributo italiano al cinema, che si diffonde ovunque come spettacolo pubblico. Sale permanenti vengono aperte nelle grandi città, 11 nella sola Torino. Qui Vittorio Calcina diventa operatore ufficiale della Casa Reale, Roberto Omegna inaugura il cinema scientifico, mentre Arturo Ambrosio realizza un documentario su “La prima corsa automobilistica Susa-Moncenisio”(1904). I pionieri, intanto, gettano le basi dell’industria. Nel 1904 Alberini e Santoni fondano a Roma il Primo Stabilimento Italiano di Manifattura Cinematografica, che, dall’anno seguente, si chiamerà Cines e sarà la più longeva delle prime case italiane.

Si tratta della ricostruzione storica dell'assalto di Porta Pia, del 20 settembre 1870, condotta dai soldati italiani contro le truppe pontificie. Il regista Alberini strutturò la celebrazione in sette quadri, di cui l'ultimo colorato a mano.
Si tratta della ricostruzione storica dell’assalto di Porta Pia, del 20 settembre 1870, condotta dai soldati italiani contro le truppe pontificie. Il regista Alberini strutturò la celebrazione in sette quadri, di cui l’ultimo colorato a mano. “La presa di Roma” venne girato per lo più in esterni e solamente in parte negli stabilimenti cinematografici dello stesso Alberini e dell’amico Dante Santoni.
“La presa di Roma”(1905), il film che segnà l’avvio della gloriosa industria cinematografica italiana. Girato in quello stesso anno dal pioniere del film nazionale, Filoteo Alberini, l’opera fu realizzata in vista delle celebrazioni dei 35 anni della presa di Roma da parte dei bersaglieri del Re. Il film, che originariamente prevedeva una lunghezza di circa 10 minuti, è giunto a noi di soli 6 minuti.

Nel 1905 Filoteo Alberini realizza, con la Cines, il primo film italiano a soggetto: “La presa di Roma”, 250 metri di pellicola per una ricostruzione storica grandiosa e particolarmente accurata. Verso il 1906 la produzione cinematografica inizia a essere organizzata industrialmente. Già nel 1907 la Cines e la Ambrosio producono numerosi film a soggetto, lunghi tra i 100 e i 150 metri, soprattutto documentari e scenette comiche. Ma i grandi successi arrivano dalla Francia, con i primi film comici interpretati da Marcel Fabre ( detto Robinet) e da André Deed ( detto Cretinetti). A metà degli anni ’10, mentre la prima crisi dell’industria cinematografica colpisce la Francia e gli Usa, l’Italia si afferma con produzioni grandiose e magniloquenti. Il genere storico, pensato per stupire il pubblico con costumi sfarzosi e fantasiose ricostruzioni di città, domina il mercato internazionale. Nel 1913 Enrico Guazzoni dirige “Quo vadis?”, che segna l’avvento del lungometraggio e del cinema d’arte. Nella primavera del 1914 “Cabiria” viene proiettato nei teatri di Torino, Roma e Milano. Prodotto dalla Itala Film di Giovanni Pastrone, scritto e diretto da quest’ultimo, viene annunciato come opera del grande poeta Gabriele D’Annunzio. E’ una colossale produzione storica, espressione della volontà di nobilitare la nuova arte cinematografica con richiami colti, impreziosita da una sinfonia appositamente scritta dal maestro Ildebrando Pizzetti. D’Annunzio, a film già montato e dietro lauto compenso, si è in realtà limitato a revisionare le didascalie e cambiare il nome di qualche personaggio. Accanto ai film di genere storico si producono molte commedie tratte da romanzi di ambientazione borghese, in cui si rivelano interpreti come Francesca Bertini e Leda Gys. Con queste attrici nasce il divismo, fenomeno secondo il quale l’interesse del pubblico non scatta per il film in sé bensì per la prestanza fisica del suo protagonista. Il divismo non è che una delle caratteristiche della nuova arte: l’attore cinematografico acquista importanza non soltanto perchè interprete, ma perché materia prima attraverso la quale il film viene realizzato.

La prima grande Diva del cinema italiano: Francesca Bertini, interprete nel cinema muto di oltre un centinaio di pellicole.
La prima grande Diva del cinema italiano: Francesca Bertini, interprete nel cinema muto di oltre un centinaio di pellicole.

La prima diva del cinema italiano, e più precisamente di quello muto è la fiorentina Francesca Bertini, classe 1892, che arrivò al successo nel 1915 con il ruolo della napoletanissima “Assunta Spina”, nell’omonimo film tratto dal dramma di Salvatore Di Giacomo, per la regia di Gustavo Serena. Ma la Bertini non si limitò a recitare la parte di protagonista. Volle avere un ruolo primario anche nella realizzazione del film. Lo confermò lo stesso Gustavo Serena:

 “E chi poteva fermarla? La Bertini era così esaltata dal fatto di interpretare la parte di Assunta Spina, che era diventata un vulcano di idee, di iniziative, di suggerimenti. In perfetto dialetto napoletano, organizzava, comandava, spostava le comparse, il punto di vista, l’angolazione della macchina da presa; e se non era convinta di una certa scena, pretendeva di rifarla secondo le sue vedute.”

Il fascino che emanava la sua figura, gracile, dai capelli corvini e con uno sguardo acceso e intenso, le fecero presto varcare i confini come tipo d’una bellezza meridionale e popolaresca. In seguito interpretò sullo schermo grandi personaggi letterari e teatrali, come Fedora, Tosca e la Signora delle Camelie. La sua notevole bellezza e la capacità di imporre la propria presenza in scena, soprattutto in parti tragiche, fecero di lei il primo esempio di diva cinematografica. Francesca Bertini inaugurò uno stile che, solo molto tempo dopo è stato ascritto al genere del divismo. Alcuni esempi: per ogni scena pretendeva di indossare un abito nuovo; il vestito, fatto su misura dalla sarta, doveva inevitabilmente essere inaugurato il giorno successivo; qualsiasi film stesse girando, in qualsiasi luogo si trovasse, la Bertini alle cinque del pomeriggio si fermava e si recava in un grande albergo per prendere il tè in compagnia di alcune dame. Nell’agosto 1921 sostenne il suo ultimo ruolo notevole, nel film La fanciulla di Amalfi, poi in settembre si sposò. Nella sua pur breve carriera aveva girato un centinaio di film e guadagnato quattro milioni di lire dell’epoca. In seguito al matrimonio le sue apparizioni si fecero molto più rare; ma è verosimile che con l’avvento del cinema sonoro, come molti altri attori del muto, anche lei non avrebbe saputo adeguarsi alle nuove tecniche di recitazione, penalizzata inoltre dal suo timbro di voce non proprio gradevole ed infatti in Odette il suo primo ed unico film sonoro, girato nel 1934 prima del suo ritiro definitivo, venne doppiata da Giovanna Scotto. Negli anni sessanta e settanta prese parte a qualche trasmissione televisiva: fu intervistata da Lelio Luttazzi a Ieri e oggi, Mike Bongiorno, Enzo Biagi e Maurizio Costanzo, sempre rievocando con una punta di nostalgia la sua leggendaria ma ormai lontana stagione di trionfi cinematografici.

Una delle più importanti attrici teatrali italiane dell'800. La sua fama di splendida interprete è arrivata fino ai giorni nostri. Purtroppo nata troppo presto, nel 1858, per poter usufruire appieno del mezzo cinematografico. Eppure un reperto visivo, una pellicola ci è rimasta. La Duse interpretò infatti nel 1916, il film
Una delle più importanti attrici teatrali italiane dell’800. La sua fama di splendida interprete è arrivata fino ai giorni nostri. Purtroppo nata troppo presto, nel 1858, per poter usufruire appieno del mezzo cinematografico. Eppure un reperto visivo, una pellicola ci è rimasta. La Duse interpretò infatti nel 1916, il film “Cenere”, quando aveva già 56 anni. Ella individuò nuove caratteristiche recitative per il suo personaggio, rifiutando seccamente i gesti enfatici e il greve simbolismo delle attrici dell’epoca per privilegiare invece un importante lavoro sul corpo, sui gesti minimi, sull’interazione con lo spazio dell’inquadratura. Secondo alcuni, nel suo unico film, la Duse è riuscita a svecchiare d’un balzo tutti gli standard interpretativi della cinematografia italiana dell’epoca, che se ne sarebbe probabilmente avvalsa se non fosse intervenuta la crisi dell’industria all’indomani della Prima guerra mondiale.

Malgrado l’attività produttiva rallenti negli anni della prima guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra, tra il 1909 e il 1919 la Cines realizza 1.525 pellicole. Ma più tardi, a causa della concorrenza hollywoodiana, la produzione italiana si arresta completamente. Per cui attori, registi e manodopera specializzata si mettono al servizio di case statunitensi e tedesche. Nel 1923 la Cines cessa ogni attività con le riprese di una versione di “Ben Hur”, produzione americana girata nei suoi stabilimenti romani. Negli altri paesi, intanto, si fanno enormi progressi grazie a investimenti economici negli impianti produttivi. L’avvento del sonoro, a fine anni ’20, manda in crisi tutte le cinematografie, compresa quella italiana. Gli impianti devono essere radicalmente modificati, con gran dispendio economico, per evitare di rimanere in posizione arretrata rispetto a chi può investire nelle nuove apparecchiature. Il sonoro provoca, indirettamente, anche la fine delle tante piccole ma floride manifatture cinematografiche fondate a Napoli nei primi vent’anni del novecento. Vesuvio Film, Dora Film, Napoli Film, Eliocinegrafica, Tina Film, Miramare Film, e tante altre case di produzione, già vessate dalla censura di regime- contraria alle tematiche popolari e folkloristiche predilette dalle produzioni partenopee, quasi esclusivamente fondate sulla produzione di film tratti da celebri canzoni dialettali- sono costrette a chiudere. L’impulso maggiore alla ripresa della cinematografia nazionale arriva dal regime fascista. Le disposizioni legislative vietano la circolazione di pellicole in lingua straniera, lasciando ampio spazio al mercato nazionale. Il regime si rende presto conto che “la cinematografia è l’arma più potente di propaganda di massa”. L’Italia, negli anni ’30, ha un cinema di regime. La censura presta molta attenzione alle storie che vengono portate sullo schermo, impone autori e attori ma, soprattutto, strumentalizza il mezzo cinematografico a scopi di propaganda politica, bellica ed espansionistica. Dalla metà degli anni ’20 si susseguono una serie di iniziative finalizzate, da una parte, a rendere l’Italia competitiva sul mercato cinematografico internazionale e, dall’altra, a suggestionare l’opinione pubblica. Nel 1924, sulle basi del Sindacato Istruzione Cinematografica, viene istituita L’Unione Cinematografica Educativa ( L.U.C.E.) che nel 1925, si trasforma in “Istituto Nazionale L.U.C.E.” e, nel 1937, trova la sua sede definitiva in una nuova costruzione nei pressi di Cinecittà e del Centro Sperimentale. Nato come Ente parastatale, successivamente si trasforma in Ente dello Stato. Nel periodo fascista, durante il quale detiene il monopolio della produzione di cinegiornali e documentari, la sua attività è quasi esclusivamente rivolta alla propaganda di regime. Il primo film sonoro italiano è “La canzone dell’amore”, diretto nel 1930 dal napoletano Gennaro Righelli, il cui soggetto è tratto da una novella di Luigi Pirandello. Seguono tre lungometraggi interpretati da Ettore Petrolini, basati su altrettanti suoi successi teatrali. Quindi una serie di film interpretati da altri popolarissimi attori comici provenienti dal varietà, dall’avanspettacolo, dalla rivista: Macario, Totò, i fratelli De Rege, Carlo Dapporto, Nino Taranto, Vittorio De Sica, Renato Rascel, Eduardo e Peppino De Filippo, Aldo Fabrizi, insomma tutta la prima grande generazione, che poi negli anni ’50 renderà immortale il cinema italiano. Controllate dalla censura e sottovalutate dalla critica, la modernità di queste loro prime interpretazioni cinematografiche verrà apprezzata in tempi futuri. Il filone principale degli anni ’30, di quel tipo di cinema strettamente controllato dal regime fascista, è quello dei cosiddetti “telefoni bianchi”, un particolare tipo di commedie brillanti, girati quasi esclusivamente in interni e privo di qualunque riferimento alla realtà storica del periodo.

La locandina cinematografica del film
La locandina cinematografica del film “La canzone dell’amore”(1930), il primo film sonoro della storia del cinema italiano. Il rilievo della pellicola nella storia del cinema italiano è relativo, principalmente, all’alto profilo tecnico con cui il film venne girato, sia per quanto riguarda le tecniche di registrazione del sonoro, sia per l’uso della profondità di campo, oltre che per il dinamismo dei movimenti di macchina.
Dria Paola e Mercedes Brignone in una scena del film
Dria Paola e Mercedes Brignone in una scena del film “La canzone dell’amore”(1930).

La nascita dei festival del cinema di Venezia e di Cannes

Nel 1932 nasce la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, come espressione fin troppo evidente del regime fascista. Ufficialmente il suo scopo principale è quello di presentare opere che attestino il reale valore della cinematografia quale mezzo di espressione in campo artistico, culturale, scientifico ed educativo, oltre a favorire la conoscenza e la comprensione tra i popoli; in pratica, invece, fu un mezzo per far conoscere al mondo la potenza del regime fascista, servendosi del cinema per arrivare là dove con i giornali non si riusciva ad arrivare. La prima edizione, quella del 1932, non assegna premi, ma in concorso vi sono 39 film, dei quali quel “Gli uomini che mascalzoni!”(1932), che lancia nel firmamento del grande cinema la figura di Vittorio De Sica. Considerato il prodromo della commedia all’italiana, il film è fresco, vitale e genuino: una pellicola ben lontana dal romanzetto d’appendice svuotato di reali conflitti che piaceva tanto al regime. La pellicola, considerata come “una ventata di freschezza e naturalezza“, in tempi così cupi per l’Italia, lancia come divo il grande Vittorio De Sica, destinato a fare la storia del cinema italiano. L’opera, presentata alla prima edizione del festival di Venezia, ottenne consensi immediati ( e non vinse soltanto perchè non erano previsti premi per la prima edizione), anche presso i critici francesi. Presto, nei caffè di Parigi come nei bar di tutta Italia, tutti cantavano “Parlami d’amore Mariù”, la canzone di C.A. Bixio sulle note della quale De Sica danza stretto a Lia Franca in un’osteria della Brianza. I premi vengono assegnati per la prima volta a partire dal 1934, in base ad un compromesso tra i “giudizi degli esperti” ed un referendum popolare. Iniziata con ritmo biennale, dal 1935, con decreto governativo, la rassegna diventa annuale per meglio seguire il ritmo incessante della produzione cinematografica mondiale e prende l’attuale denominazione. A partire dal 1936 poi, la Mostra trova la sua sede definitiva nel complesso appositamente costruito al Lido di Venezia. La giuria è composta prevalentemente da stranieri: funzionari, diplomatici, dirigenti di organizzazioni professionali del settore. Ma che il festival in questi primi anni, fosse prevalentemente basato sull’asse Roma-Berlino, si capì fin da subito, arrivando al culmine nel 1938, con la protesta dei delegati francesi, americani e inglesi che abbandonarono in corso d’opera la rassegna. La protesta più vigorosa arriva dai critici francesi, che- appoggiati, tra gli altri, da Louis Lumière- presentano al proprio governo una petizione per l’istituzione di una rassegna cinematografica obiettiva da contrapporre alla rassegna veneziana, chiara espressione di regime dell’Italia fascista. Nascerà così, nel 1939, il Festival internazionale del film di Cannes, che a guerra finita, assieme al Festival di Venezia, assumeranno il prestigioso onere di essere considerati i festival cinematografici più importanti della storia.

Sulle note di
Sulle note di “Parlami d’amore Mariù”, rimasta incollata al grande Vittorio De SIca per tutta la vita, lo stesso De Sica e l’attrice Lia Franca ballano un lento in un’osteria di Brianza. Il primo grande capolavoro sonoro del cinema italiano, “Gli uomini che mascalzoni”(1932), lancia alto nel firmamento la stella di Vittorio De Sica, ancora attor giovane, ma con un più che roseo futuro all’orizzonte.

Domenico Palattella

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