
Da un primo periodo in cui le interpreti femminili del cinema italiano vennero impiegate in ruoli abbastanza stereotipati, la cui funzione principale era quasi sempre quella di fornire materia ai sogni erotici del protagonista maschile ( l’ovvio, e unico caso a parte nel cinema degli anni ’40, è quello della grandissima Anna Magnani); si passa, tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50, e per tutti i decenni a venire, ad un fortunato periodo di gloria per le “dive” di casa nostra. Oltre ad Anna Magnani, Valentina Cortese ed Alida Valli (le uniche che continuano a lavorare con continuità anche dopo la fine del regime fascista), si fanno notare le nuove dive “maggiorate” e non (così chiamate per via delle loro forme prorompenti). Tra queste si ricordano: Gina Lollobrigida, Silvana Mangano, Silvana Pampanini, Lucia Bosè, Virna Lisi, Giulietta Masina, Marisa Allasio, Claudia Cardinale e soprattutto Sophia Loren che conoscono successo e allori sia in Italia che all’estero, arrivando addirittura a oscurare le dive hollywoodiane a loro contemporanee e a fare incetta di premi nazionali ed internazionali incantando il mondo. La vera, prima grande “diva” italiana, in ordine di tempo è la bellezza glaciale di Alida Valli, che esordisce giovanissima sul grande schermo, assumendo ruoli da protagonista in molti film dell’epoca, diventando ben presto l’attrice simbolo del cosiddetto cinema dei “telefoni bianchi”. La sua versatilità la mette in evidenza in ruoli più drammatici, soprattutto nel film “Piccolo mondo antico” di Mario Soldati (1941) che alla prima edizione del festival di Venezia le valse un premio speciale come miglior interprete femminile. Negli anni ’40 lavora con alcuni dei più grandi registi del panorama internazionale come Alfred Hitchcock e Orson Welles. Nel 1951 presta una delle sue migliori interpretazioni nel capolavoro “Senso”, per la regia di Luchino Visconti. Nel 1997 le venne poi attribuito il meritatissimo “Leone d’oro” alla carriera nell’edizione del festival di Venezia di quello stesso anno.

Le due principali soubrette dei primi anni post-1945, Isa Barzizza e Silvana Pampanini, furono perfettamente a posto nei limiti delle parti sempre uguali loro affidate: più vivace, elegante e piccante la prima, più sensuale e sapientemente ammiccante la seconda, che in qualche caso si tentò di utilizzare anche in situazioni drammatiche ( “La tratta delle bianche”, “Un marito per Anna Zaccheo”), sempre come la vittima di un fascino irresistibile esercitato quasi senza volerlo. Entrambe vennero utilizzate prevalentemente come co-protagoniste o spalle femminile del primo attore di turno. Così la Barzizza fu tra le partner preferite del grande Totò, con il quale lavoro in un congruo numero di film ( “Fifa e Arena” 1948, “Totò al giro d’Italia” 1949, “Le sei mogli di Barbablù” 1950, “Totò a colori” 1952, “Un turco napoletano” 1953); di Aldo Fabrizi, nel divertente episodio del film “Cinque poveri in automobile”(1952); di Macario, nel delicato “Adamo e Eva”(1950); e di Carlo Dapporto nel film “Il vedovo allegro”(1949). La stessa sorte toccò, anche alla bellezza giunonica di SIlvana Pampanini, impegnata a tener, magistralmente testa, con bravura e un pizzico (abbondante) di fascino, ad artisti del calibro di Nino Taranto (“Il barone Carlo Mazza” 1948), Carlo Dapporto (“La presidentessa” 1952), Renato Rascel (“Io sono il capataz” 1951), Vittorio De Sica (“Il matrimonio” 1954), Peppino De Filippo (“Biancaneve e i sette ladri” 1949, “Un giorno in pretura” 1953), Tino Scotti (“E’ arrivato il cavaliere!” 1950) e addirittura Totò (“47 morto che parla” 1950), il quale arrivò addirittura a chiederla in sposa, tra la fine del 1950 e l’inizio del 1951, letteralmente stregato e folgorato dal suo enorme fascino. Per decenni Silvana lasciò credere che la struggente “Malafemmina” fosse dedicata a lei. In realtà fu ispirata dalla moglie separata del comico napoletano, come risulta dalla testimonianza della figlia e da un documento SIAE.


Sulla loro scia vennero le cosiddette “maggiorate” Gina Lollobrigida e Sophia Loren, a prolungare la situazione della bellona che amministra più o meno sapientemente le proprie grazie. Delle due fu la seconda- moglie tra l’altro di un produttore molto astuto- a stimolare maggiormente l’iniziativa di registi e sceneggiatori, grazie a un fisico strepitosamente imponente e anche a una certa verve vernacolare e popolana. Più statica e meno provvista di sense of humor, la Lollobrigida fu comunque bene impiegata a cominciare da Luigi Comencini negli ardori popolareschi della “Bersagliera” dei “Pane e amore”, e da lì cominciò la sua straordinaria carriera nazionale ed internazionale, tra Roma e Hollywood. Infatti, già nel 1950 l’attrice, giovanissima, volò sola verso Hollywood, accettando l’invito del miliardario Howard Hughes, produttore e scopritore di dive come Jane Russell. Quando Gina scoprì che stava per essere chiusa in una gabbia dorata tornò precipitosamente a Roma. Il contratto in esclusiva che aveva già firmato le impedì fino al 1959 di lavorare negli Stati Uniti, ma non in produzioni statunitensi girate in Europa ( che erano peraltro numerosissime). Arrivarono comunque i primi successi, fra i quali: “Campane a martello” di Luigi Zampa (1949), “Achtung! Banditi!” di Carlo Lizzani (1951) e soprattutto “Fanfan la Tulipe” di Christian-Jaque del 1952 (Orso d’argento al Festival di Berlino), che la consacrò star in Francia, mentre in Italia, nello stesso anno, conquistò una vasta popolarità con “Altri tempi” di Alessandro Blasetti, nell’episodio “Il processo di Frine“, con Vittorio De Sica, che coniò per lei il neologismo “maggiorata fisica”. Nel 1953 interpretò, ancora al fianco di Vittorio De Sica, il ruolo della Bersagliera, premiato con il Nastro d’argento e candidato al BAFTA, in “Pane, amore e fantasia” di Luigi Comencini (Orso d’argento al Festival di Berlino), entrando definitivamente nell’immaginario collettivo grazie alla gradevole e spontanea caratterizzazione della bella popolana povera dal cuore d’oro. Raggiunti i vertici della notorietà, l’anno dopo girò il sequel altrettanto riuscito: “Pane, amore e gelosia”, ma nel 1955 rifiutò la terza puntata della serie e fu rimpiazzata da Sophia Loren, sua storica “rivale”. I ruoli che seguirono sottolineano il tentativo di approfondimento drammatico delle sue interpretazioni, come in “La provinciale” di Mario Soldati e – premiata con la Grolla d’oro a Saint Vincent – “La romana” di Luigi Zampa e “Mare matto” di Renato Castellani, che alcuni ritengono le sue prove migliori. Dalla seconda metà degli anni cinquanta la Lollo, come è soprannominata dalla stampa, diventa protagonista di produzioni internazionali come “Il tesoro dell’Africa” di John Huston con Humphrey Bogart e Jennifer Jones, “Il maestro di Don Giovanni” con Errol Flynn e” La donna più bella del mondo”, con Vittorio Gassman, film biografico che romanza la vita di Lina Cavalieri. In questo ruolo la Lollobrigida dà una buona prova di cantante lirica, ma soprattutto vince il David di Donatello come migliore attrice protagonista, premio che l’Accademia del cinema italiano ha istituito proprio quell’anno. L’anno seguente recita in “Trapezio” di Carol Reed accanto a Burt Lancaster e Tony Curtis; “Il gobbo di Notre Dame” (1956) dove interpreta una splendida e sensuale Esmeralda, accanto ad Anthony Quinn come Quasimodo; “Sacro e profano” di John Sturges, con a fianco Frank Sinatra: “Salomone e la regina di Saba” (1959) di King Vidor con Yul Brynner (che sostituì Tyrone Power morto durante le riprese). Nel 1961 gira “Va nuda per il mondo”, accanto ad Ernest Borgnine ed Anthony Franciosa; nello stesso anno, con “Torna a settembre”, girato peraltro in Italia, sulla Riviera ligure di levante, in cui è protagonista assieme a Rock Hudson e Sandra Dee, vince un Golden Globe come miglior attrice del mondo. L’anno seguente recita nel film in costume “Venere imperiale” di Jean Delannoy: il ruolo di Paolina Bonaparte le fa aggiudicare un David di Donatello come migliore attrice e un Nastro d’argento nella stessa categoria. Nel 1964 è protagonista, insieme a Sean Connery de “La donna di paglia”; l’anno successivo recita in “Strani compagni di letto” di Melvin Frank di nuovo accanto a Rock Hudson. Nel 1968, grazie alla sua interpretazione in “Buona Sera, Mrs. Campbell” di Melvin Frank riceve una candidatura al Golden Globe per la migliore attrice in un film commedia o musicale e un terzo David di Donatello come migliore attrice e altri successi. Tra i film che rifiutò, a volte all’ultimo momento: “La signora senza camelie” di Michelangelo Antonioni, “Jovanka e le altre” e “Lady L.”. Fu sostituita rispettivamente da Lucia Bosè, Silvana Mangano e Sophia Loren. L’attrice afferma di avere ricevuto un’offerta per recitare ne “La dolce vita” nel ruolo della fidanzata di Marcello Mastroianni, ma all’epoca il marito le nascose il copione e così il ruolo andò ad Yvonne Furneaux.

Allo stesso modo, Sophia Loren viene considerata come una delle attrici, in assoluto, più celebri della storia del cinema mondiale. Da Vittorio De Sica sarà diretta, nel 1960, nel film “La ciociara”, che gli vale l’Oscar alla migliore attrice (il primo a essere assegnato per un’interpretazione che non fosse in lingua inglese). Nella sua lunga e acclamata carriera ha ricevuto un Golden Globe, un Leone d’oro alla carriera, una Palma d’oro a Cannes, un BAFTA, dieci David di Donatello e tre Nastri d’argento. Nel 1999, l’American Film Institute l’ha inserita tra le venticinque più grandi star della storia del cinema. Fra le venticinque interpreti presenti in classifica, la Loren è risultata l’unica attrice ancora in vita. La svolta della sua sfolgorante carriera, arrivò nel 1951, allorquando incontrò il produttore Carlo Ponti: lui la notò a un concorso di bellezza, dove lei era ospite, e il giorno dopo la ricevette nel suo studio per un colloquio. Carlo Ponti rimase subito colpito dalle sue potenzialità e le offrì un contratto di sette anni, trampolino di lancio del suo successo. Iniziò da quest’epoca a usare nomi d’arte: per un po’ si fece chiamare Sofia Lazzaro, poi, Sophia Loren, così da presentarsi in modo più “internazionale”: fu il produttore Goffredo Lombardo a darle il cognome Loren ispirandosi a quello dell’attrice svedese Märta Torén (allora le attrici svedesi erano molto in voga). È da questo momento che la sua carriera prende il volo. Uno dei primissimi ruoli importanti col nome di Sophia Loren fu a fianco di Alberto Sordi interpretando una splendida Cleopatra e quello di una sua sosia in Due notti con Cleopatra di Mario Mattòli nel 1953. L’anno seguente girerà altri film in ruoli secondari come Carosello napoletano di Ettore Giannini, Un giorno in pretura nell’episodio Don Michele, Anna e il biliardo con Walter Chiari di Steno, oppure Tempi nostri con Totò di Alessandro Blasetti; ma il 1954 sarà anche l’anno della svolta nella sua carriera interpretando ruoli da protagonista in celebri commedie. Importante fra tutti fu il ruolo della pizzaiola Sofia in L’oro di Napoli, che Vittorio De Sica le volle affidare soltanto poco dopo averla conosciuta e dopo un breve colloquio. Dello stesso anno è Peccato che sia una canaglia di Alessandro Blasetti (tratto da un racconto di Alberto Moravia), dove incontra per la prima volta il suo partner per eccellenza Marcello Mastroianni. Qui interpreta una giovane ladra che cercherà con la sua esuberante bellezza di incastrare l’onesto tassista Paolo, che si difenderà con tutti i mezzi sia dalla giovane Lina e sia dal padre di lei, il professor Stroppiani interpretato da Vittorio De Sica. Nel 1955 i tre attori saranno protagonisti in La bella mugnaia, una simpatica commedia di Mario Camerini ambientata durante l’occupazione spagnola nel sud d’Italia. Dello stesso anno è Il segno di Venere diretto dal maestro Dino Risi, dove veste i panni di Agnese, che a causa della sua bellezza mette in ombra la cugina Cesira di minuto aspetto, interpretata da Franca Valeri. Nel cast figurano Vittorio De Sica, Alberto Sordi, Raf Vallone e Tina Pica. Con Vittorio De Sica, Tina Pica e ancora diretti da Dino Risi, sempre nel 1955, Sophia Loren sarà protagonista in Pane, amore e…, dove cercherà con ogni mezzo possibile di sedurre il Maresciallo Carotenuto affinché le conceda una proroga per rimanere nella sua casa. Il film ambientato a Sorrento e seguito di Pane, amore e fantasia e Pane, amore e gelosia (interpretati da Gina Lollobrigida da sempre indicata come la sua storica rivale cinematografica), rimane celebre per il sensuale mambo ballato da Sophia Loren per Vittorio De Sica. Il suo primo importante ruolo drammatico arriva per un film diretto da Mario Soldati e scritto tra gli altri da Pier Paolo Pasolini e Giorgio Bassani: La donna del fiume. La Loren dà prova di una forte capacità interpretativa. Con La fortuna di essere donna (1956) di Alessandro Blasetti ritorna in coppia con Marcello Mastroianni in una divertente commedia degli anni cinquanta. La celebre copertina su Life del 1955 segna l’inizio della sua carriera internazionale, grazie alla sua prorompente bellezza, che non ha mai rischiato di offuscarne l’aspetto artistico, e l’indubbia bravura come attrice sia leggera che drammatica. Divisa tra Italia e Hollywood, interpreta innumerevoli film di successo con le più grandi star mondiali, diretta da registi quali Vittorio De Sica, Mario Monicelli, Ettore Scola, Dino Risi, Mario Camerini, Charlie Chaplin, Sidney Lumet, George Cukor, Michael Curtiz, Anthony Mann e André Cayatte. In particolare con De Sica, con il quale gira otto film, forma un ideale sodalizio, spesso completato dalla presenza di Marcello Mastroianni. Nel tempo va sempre più affermandosi come una vera icona del cinema italiano nel mondo; la definitiva consacrazione come attrice arriva con l’interpretazione del suo film-simbolo, La ciociara, diretto da Vittorio De Sica e prodotto dal marito Carlo Ponti. La parte di Cesira era stata offerta, in un primo momento, ad Anna Magnani, mentre la Loren avrebbe dovuto interpretare la figlia Rosetta, e la regia del film inizialmente era stata assegnata a George Cukor. Ambientato negli anni della seconda guerra mondiale, il film è tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia. All’epoca Sophia Loren aveva solo 26 anni quando inaspettatamente Vittorio De Sica le propose il ruolo di Cesira. Un personaggio semplice e popolano, ma costituito da una grande venatura drammatica che riuscì a far emergere con straordinaria disinvoltura e naturalezza. Molteplici sono le scene emblematiche del film dove la Loren dimostra il suo straordinario istinto recitativo, come la scena dello stupro dentro una chiesa abbandonata, il momento del risveglio con l’abbraccio tragico di calore materno verso la figlia Rosetta pregante e uno sguardo intenso e commovente, oppure la scena simbolo in cui Cesira sfoga la propria rabbia per la violenza subita, cadendo a terra in un pianto straziante quanto liberatorio. Questa interpretazione vale alla Loren il Premio Oscar, la Palma d’oro a Cannes, il BAFTA, il David di Donatello e il Nastro d’argento. Nell’aprile dello stesso anno il TIME le dedica una copertina con una illustrazione di René Bouché. Dopo il successo della Ciociara Sophia vola in Spagna per girare il colossal El Cid, dove interpreta la bella Jimena, promessa sposa al leggendario condottiero El Cid Campeador interpretato da Charlton Heston; nel cast figura anche Raf Vallone. Del seguente anno è l’indimenticabile ruolo di una procace Zoe, nell’episodio La riffa, diretta da Vittorio De Sica, in Boccaccio ’70. Successivamente girerà per lo stesso De Sica altri ruoli di inconfondibile bellezza e solarità. Negli anni immediatamente successivi reciterà con Peter Sellers in La miliardaria, con Clark Gable in La baia di Napoli, con Paul Newman in Lady L e con Marlon Brando e Charlie Chaplin ne La contessa di Hong Kong. Nel 1961 invece, veste i panni di Madame Sans-Gêne, film diretto da Christian-Jaque è ispirato ad una commedia storica a tre atti scritta nel 1893 dai francesi Victorien Sardou un famoso drammaturgo, e da Émile Moreau un commediografo e sceneggiatore. Del 1963 è Ieri, oggi, domani, in cui interpreta tre ruoli divenuti celebri: Adelina, una giovane napoletana venditrice di sigarette di contrabbando che per sfuggire al carcere cerca di rimanere incinta più volte possibile; il secondo episodio è Anna, una signora milanese insoddisfatta della propria vita, cerca una consolazione in un amore extra-coniugale; il terzo episodio, probabilmente il più celebre è Mara, una prostituta romana che all’inizio cerca di sedurre un seminarista, ma poi comprende che dovrà aiutarlo nel suo cammino spirituale. Rimane nell’immaginario di tutti lo spogliarello che ci regala di fronte a un sognante Marcello Mastroianni. Per questi ruoli riceverà il David di Donatello come migliore attrice protagonista, mentre il film ottiene numerosi premi, tra cui il Premio Oscar come miglior film straniero nel 1965. Del 1964 è invece, Matrimonio all’italiana, tratto dalla commedia Filumena Marturano di Eduardo De Filippo. Vittorio De Sica le assegna un altro celebre personaggio, quello della prostituta Filumena, complesso e battagliero. Una donna che cerca di rifarsi una vita credendo all’amore di Domenico Soriano (interpretato da Marcello Mastroianni), e poi con ogni mezzo trova il modo per garantire un futuro ai suoi tre figli, che ha nascosto per tutta la vita, sposando don Dummì. Un’eccellente interpretazione con celebri monologhi dove si evidenzia, soprattutto, l’istinto dell’essere madre e l’amore per i figli sopra ogni cosa. Per questo ruolo riceve una nomination all’Oscar. L’ultimo film, che vede protagonista la celebre coppia diretta da Vittorio De Sica è I girasoli. Un’appassionata storia d’amore tra Giovanna e Antonio, che li vede felici e innamorati nella prima parte fino a quando la guerra li dividerà per sempre. Un altro ruolo intenso e drammatico in cui, questa volta, presta la sua energia nel ritrovare suo marito fino in Russia, dove è dato per disperso. Nel 1970 riceve un altro David di Donatello come miglior attrice protagonista. Nessun’attrice italiana ha mai raggiunto una così solida e duratura popolarità internazionale. Al successo professionale si aggiunge la gioia della maternità quando, dopo due tentativi sfortunati, nascono due figli: Carlo Jr. nel 1968 ed Edoardo nel 1973. Nel 1971 è protagonista della commedia La mortadella di Mario Monicelli con Gigi Proietti e Danny DeVito (suo primo ruolo cinematografico). Dello stesso anno è il film La moglie del prete, diretta da un altro grande regista della commedia all’italiana Dino Risi, ancora una volta in coppia con Marcello Mastroianni. Nel 1972 veste i panni di una suora nella commedia di Alberto Lattuada Bianco, rosso e…, a fianco di Adriano Celentano. Nel 1974 torna sul grande schermo con un ruolo drammatico e intenso, diretta per l’ultima volta dal grande regista che la rese celebre Vittorio De Sica, in Il viaggio. Il film è tratto da una novella di Luigi Pirandello e come partner maschile è presente Richard Burton. Per questa interpretazione si aggiudica il suo quinto David di Donatello. Del 1977 è il film Una giornata particolare del maestro Ettore Scola, in coppia con Marcello Mastroianni. Interpreta Antonietta, una madre di sei figli che trascorre la propria esistenza chiusa in casa, anche nel giorno particolare (il 3 maggio 1938, in cui Adolf Hitler visita la capitale italiana). Un personaggio fragile e sottile che attraverso sguardi carichi di passione verso il suo inquilino Gabriele, e profondi silenzi, Sophia Loren fa emergere la disperazione di questa donna celata dietro conformismi nell’epoca del fascismo, tratteggiando, così, uno dei più riusciti personaggi della sua carriera, in uno dei più bei film del cinema italiano. Vince il sesto David di Donatello, nella ventiduesima edizione del premio. Negli ultimi anni di carriera la sua personale vetta è raggiunta con il conferimento dell’Oscar alla carriera nel 1991, peraltro consegnatole da Gregory Peck, che aveva ricevuto lo stesso riconoscimento da Sophia Loren, all’edizione degli Oscar, datato 1963.


Tra le attrici più importanti del nostro paese, e forse quella ritenuta di maggior fascino, vi è la bellissima Silvana Mangano, la quale conosce un notevole successo alla fine degli anni quaranta per l’interpretazione del film neorealista Riso amaro, diretto da Giuseppe De Santis. La pellicola la impone come una delle prime sex symbol nazionali del dopoguerra. Tra gli anni sessanta e settanta diviene una delle protagoniste principali della commedia all’italiana, vestendo con spiccata intensità ruoli più regali in alcuni film di Luchino Visconti e Pier Paolo Pasolini. Tutto iniziò quando lei, appena diciannovenne fu scelta da Giuseppe De Santis per il film neorealista Riso amaro (1949) con Vittorio Gassman: l’attrice aveva 19 anni e si presentò al provino in mezzo a una folla di ragazze, ma il regista non ne scelse nessuna: nemmeno lei, che era vestita in modo troppo vistoso e troppo truccata. Tempo dopo, passeggiando per via Veneto a Roma si scontrò sotto la pioggia col regista: senza trucco, coi i capelli bagnati e con un aspetto semplice colpisce De Santis che le fece fare un secondo provino, ottenendo così la parte della protagonista Silvana. Sul set conobbe il futuro marito, il produttore cinematografico Dino De Laurentiis. Il film ottenne un successo straordinario e la Mangano s’impose nel mondo del cinema, come sex symbol nazionale nel dopoguerra. La sua immagine fiera e indolente della mondina, con la maglietta attillata e le calze nere a metà coscia, diventa un’icona del cinema italiano. Sempre nel 1949 lavorò in Cagliostro e nuovamente con Gassman ne Il lupo della Sila, tanto che alcune voci la volevano fidanzata con l’attore. L’anno successivo girò con Amedeo Nazzari Il brigante Musolino. Arrivò il successo a livello internazionale: i critici americani la paragonarono a Rita Hayworth e ricevette proposte da Hollywood e dal regista Alexander Korda, ma Silvana rifiutò. Quello stesso anno sposò Dino De Laurentiis, dal quale ebbe quattro figli: Veronica (futura attrice), Raffaella (futura produttrice), Federico (futuro regista) e Francesca. La Mangano gestì attentamente la sua carriera, scegliendo buoni soggetti ed allontanandosi gradualmente dalla fisicità erotica dei suoi primi film a favore dell’eclettismo interpretativo, come per la ballerina di night-club che prenderà i voti nel film Anna di Alberto Lattuada (1951), nel quale balla il famoso El negro Zumbon (che Nanni Moretti ricorderà a distanza di quarant’anni nel film Caro diario). Ne L’oro di Napoli (1954) di Vittorio De Sica interpretò la prostituta nell’episodio di Teresa, ed in Mambo (1954) tornò a lavorare al fianco di Gassman. Nella sua prima opera internazionale, Ulisse (1955) di Mario Camerini, al fianco di Kirk Douglas e Anthony Quinn, l’attrice interpretò due personaggi, Penelope e la Maga Circe, e questo rappresentò la consacrazione a diva del cinema. Più volte rifiutò di lavorare al fianco di Mastroianni, mentre accettò la proposta di La tempesta (1958). Inevitabile il confronto divistico tra la Mangano e il mito nascente di Sophia Loren, sostenuto da Carlo Ponti, in precedenza socio di De Laurentiis. Grande risalto giornalistico ebbero nel 1956 le riprese del film Uomini e lupi, di Peppino De Santis, accanto a un ancora immaturo Yves Montand e all’esperto Guido Celano: durante una pausa della lavorazione, nelle montagne della Majella in Abruzzo, la Mangano fu assalita da uno dei lupi utilizzati per le scene, sfuggito al proprio domatore. Celano, rischiando coraggiosamente, riuscì a deviare l’aggressione dell’animale, che fu poi abbattuto da un cacciatore che si trovava nella zona. In seguito la Mangano lavorò in film importanti come La diga sul Pacifico (1958), diretto da René Clément e tratto da un romanzo di Marguerite Duras, al fianco di Anthony Perkins e Alida Valli come cointerpreti. Dalla fine degli anni cinquanta, nonostante il carattere riservato, la Mangano si cimentò anche in ruoli di commedia, dando prova della sua versatilità nel ruolo della prostituta Costantina ne La grande guerra (1959) di Mario Monicelli, con Alberto Sordi e Vittorio Gassman, o in quello della popolana in Crimen (1961) di Mario Camerini. Nel 1960 Federico Fellini le propose di recitare a fianco di Mastroianni ne La dolce vita ma De Laurentiis, forse per gelosia, la spinse a rifiutare la parte, che venne così interpretata da Anouk Aimée. A seguito del rifiuto di Gina Lollobrigida, la Mangano interpretò una donna slava che lotta contro le forze naziste in Jovanka e le altre (1960) di Martin Ritt, accettando di tagliare a zero i suoi lunghi capelli per la parte e finisce sulla copertina della rivista americana Life. Nel frattempo girò Il giudizio universale (1961), stringendo amicizia con Alberto Sordi, cui resterà affezionata per tutta la vita. Con la notevole interpretazione del personaggio di Edda Ciano nel film Il processo di Verona di Carlo Lizzani la Mangano iniziò a cimentarsi con ruoli sempre più tormentati, introspettivi e raffinati. Proseguì anche nella commedia, in coppia con Sordi, in La mia signora (1964) di Tinto Brass (strepitosa nell’episodio intitolato “Eritrea”, una spanna sopra a tutti gli altri episodi dell’epoca), prima che questi si dedicasse al genere erotico, e ne Il disco volante (1964), con Alessandro Blasetti in Io, io, io… e gli altri (1965) dove reincontrò Mastroianni e dove interpreta il ruolo di Silvia, l’amante del giornalista Sandro, interpretato da Walter Chiari. Non vi è forse attrice più brava ad unire la qualità al fascino in questo decennio. Fu, poi diretta sempre da Sordi nel satirico Scusi, lei è favorevole o contrario? (1966). Negli anni dal 1967 al 1974, Silvana Mangano ebbe opportunità di buon livello artistico con due maestri quali Pier Paolo Pasolini e Luchino Visconti, che avevano compreso e intuito il suo modo di recitare. Il marito produttore confezionò su misura per lei il film a episodi Le streghe (1967), sul cui set per la prima volta venne diretta dai due registi e lavorò con il grande Totò. Fu poi una splendida Giocasta nel film Edipo re (1967), interpretò una madre borghese e disorientata in Teorema (1968) con Massimo Girotti e Terence Stamp, quindi una partecipazione straordinaria nelle vesti della Madonna nel Decameron (1971) (il suo cameo in questo film si può considerare come una sorta di “risarcimento affettivo” da parte dell’amico Pasolini per la delusione della Mangano in seguito alle dure critiche ricevute da “Teorema”). Recitò quindi nella commedia Lo scopone scientifico (1972), considerato da alcuni il capolavoro di Luigi Comencini, attorniata da Alberto Sordi, Bette Davis e Joseph Cotten. Visconti la volle in Morte a Venezia (1971) e, accanto a Romy Schneider, in Ludwig (1973), poi l’anno seguente nel cast all-stars di Gruppo di famiglia in un interno (1974) con Burt Lancaster ed Helmut Berger. Se in Morte a Venezia il suo personaggio rappresentava la trascendenza di una bellezza raffinata e malinconica, nell’ultima pellicola diretta da Visconti porta, invece, la sua recitazione a toni carichi come mai in passato nel ruolo di una donna espressamente terrena. A fare da contrappunto al successo professionale, vi furono difficoltà nella vita privata. Tese ad isolarsi sempre più dal marito e dai figli[1] e, a testimoniare il suo malessere, vi sono le molte interviste nelle quali dichiarò di detestare il proprio aspetto fisico e parlò dei suoi persistenti disturbi d’insonnia. La morte del figlio venticinquenne Federico (avvenuta il 15 luglio 1981 in un incidente aereo in Alaska) aggravò il suo stato depressivo. La Mangano divorziò da Dino De Laurentiis e, ammalatasi di un tumore allo stomaco, si ritirò a vita privata, partecipando solo al film Dune (1984) di David Lynch, complice la richiesta della figlia Raffaella, produttrice del film. Intuendo l’avvicinarsi della fine, si riappacificò con De Laurentiis e lavorò ancora con Marcello Mastroianni nel capolavoro di Nikita Mikhalkov Oci ciornie (1987). Morì di cancro a Madrid, dove viveva con la figlia Francesca, il 16 dicembre 1989, a 59 anni, lasciando il ricordo di una attrice dotata che seppe ottenere stima di grande interprete. La Mangano nella sua carriera, ottenne ampi riconoscimenti d’attrice, tra cui 3 David di Donatello e 3 Nastri d’Argento.

Nel firmamento delle leggende del cinema italiano, non si può non nominare “Nannarella”, ovvero Anna Magnani, la quale viene considerata dalla critica cinematografica come una delle maggiori interpreti femminili mai apparse sullo schermo.Attrice simbolo del cinema italiano, è altresì conosciuta per essere stata, insieme ad Aldo Fabrizi e Alberto Sordi, una delle figure preminenti della cinematografia romana del XX secolo. Tra i suoi riconoscimenti internazionali sono senz’altro da ricordare l’Oscar assegnato come migliore attrice protagonista per il film La rosa tatuata e l’Orso d’argento al Festival di Berlino per il film Selvaggio è il vento (1958). Indimenticabili le sue interpretazioni sotto la guida di registi come Roberto Rossellini, Luchino Visconti e Pier Paolo Pasolini, e soprattutto in film come Roma città aperta, Bellissima, Mamma Roma e La rosa tatuata. Quest’ultimo le valse un Oscar alla miglior attrice protagonista. Dopo numerosi film in cui interpreta parti di cameriera o cantante, riesce ad imporsi per le sue eccezionali doti di interprete spiccatamente drammatica. Ed è Vittorio De Sica nel 1941 ad offrirle per la prima volta la possibilità di costruire un personaggio non secondario, quello di Loretta Prima, artista di varietà, nel film Teresa Venerdì. Recita nell’avanspettacolo di Totò e interpreta il ruolo della verduraia romana in Campo de’ Fiori con Aldo Fabrizi. Il 23 ottobre 1942 dà alla luce il suo unico figlio, Luca, frutto di una relazione con un attore più giovane di lei (otto anni) Massimo Serato (a causa della gravidanza la Magnani dovette rinunciare a girare il film di Luchino Visconti Ossessione dove venne sostituita da Clara Calamai), il quale l’abbandona non appena lei rimane incinta; l’attrice riuscì ad imporre il proprio cognome al figlio, proprio come la madre Marina fece con lei, uno dei pochissimi casi di genealogia matrilineare che si protrae per addirittura tre generazioni. Raggiunge la fama mondiale nel 1945 e vince il suo primo Nastro d’Argento grazie all’interpretazione nel film manifesto del Neorealismo, Roma città aperta di Roberto Rossellini (con il quale instaura una relazione sentimentale), con Aldo Fabrizi e Marcello Pagliero. Nel film Anna Magnani è protagonista di una delle sequenze più celebri della storia del cinema: la corsa dietro un camion tedesco, nel quale è rinchiuso il marito, al termine della quale il suo personaggio (la ‘Sora Pina’, ispirato alla figura di Teresa Gullace) viene ucciso dai mitra nazisti. Nel 1948 interpreta il suo ultimo film con Roberto Rossellini, prima della rottura della loro relazione: L’amore, diviso in due atti. Il primo (ispirato al dramma in atto unico di Jean Cocteau La voce umana) è un lungo monologo al telefono di una donna abbandonata dal compagno; il secondo è la storia di una popolana che si accoppia con un giovane Federico Fellini credendolo San Giuseppe: per lei è il terzo Nastro d’Argento. Nel 1949 gira Vulcano, nell’isola vicina a quella dove Rossellini sta girando Stromboli terra di Dio con la sua nuova compagna Ingrid Bergman. Le riprese dei due film sono ricordate dalla storia del cinema come la guerra dei vulcani.Nel 1951 interpreta la protagonista del film di Luchino Visconti, sceneggiato da Cesare Zavattini, Bellissima con Walter Chiari, Corrado, Alessandro Blasetti, e vince il suo quarto Nastro d’Argento. Il quinto ed ultimo Nastro d’Argento le sarà conferito per il film Suor Letizia – Il più grande amore. Nel 1952 interpreta Anita Garibaldi nel film Camicie rosse, dove volle alla regia l’ex marito Goffredo Alessandrini. Nel 1947 vince il suo secondo Nastro d’Argento e il premio per la miglior attrice alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia per il film L’onorevole Angelina diretto da Luigi Zampa. Il 21 marzo 1956 è la prima interprete italiana nella storia degli Academy Awards a vincere il Premio Oscar come migliore attrice protagonista, conferitole per l’interpretazione di Serafina Delle Rose nel film La rosa tatuata, del 1955, con Burt Lancaster, per la regia di Daniel Mann. Per lo stesso ruolo, vincerà anche un BAFTA quale attrice internazionale dell’anno e il Golden Globe per la migliore attrice in un film drammatico. La Magnani non presenziò alla cerimonia: l’Oscar venne ritirato da Marisa Pavan, anche lei candidata come migliore attrice non protagonista per lo stesso film, dalle mani di uno dei più grandi attori comici di quegli anni, Jerry Lewis.Un altro prestigioso riconoscimento internazionale, miglior attrice al Festival di Berlino, le viene conferito nel 1958 per l’interpretazione del film Selvaggio è il vento di George Cukor in cui è affiancata da Anthony Quinn ed Anthony Franciosa. Per lo stesso ruolo, sempre nel 1958, vince anche il suo primo David di Donatello come migliore attrice e verrà nominata per la seconda volta al premio Oscar, che però va a Joanne Woodward per La donna dai tre volti.Nel 1959 vince il suo secondo David di Donatello per il film Nella città l’inferno con la regia di Renato Castellani, interpretato assieme a Giulietta Masina, con la quale si creò però un’accesa rivalità durante la lavorazione, tanto che le due ebbero rapporti molto difficili: la pellicola è ambientata in un carcere femminile, in cui l’ingenua Lina (Masina) impara dalla “veterana” Egle (Magnani) i segreti per una vita di successo. Nel 1960 recita accanto all’amico Marlon Brando e con Joanne Woodward nel film Pelle di serpente diretto da Sidney Lumet.Nel 1962 è la protagonista di Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini, regista con il quale aveva instaurato un rapporto conflittuale. Pasolini, dopo l’esordio del 1961 con Accattone, cercò in ogni modo di lavorare con la grande attrice, ormai sempre più selettiva nello scegliere i ruoli (la sua ultima interpretazione era Risate di gioia al fianco di Totò nel 1960); la Magnani accettò, ma entrambi rimasero insoddisfatti dal risultato ottenuto. Lei disse: “Pasolini mi ha usata”, lui sosteneva che lei era stata: “troppo borghese”. In ogni caso, nonostante le loro incomprensioni, che comunque non andarono mai ad intaccare la stima reciproca, il film ottiene un grande successo di pubblico e di critica in Francia, mentre in Italia al grande successo di critica seguiranno invece incassi deludenti. Nel 1972 la sua ultima apparizione cinematografica, nel cameo fortemente voluto da Federico Fellini per il suo film Roma. Di notte, una dolente Anna Magnani attraversa i vicoli di Roma. Risponde a Fellini e, ridendo, chiude il portone davanti alla macchina da presa e lì conclude la sua lunga e magnifica carriera cinematografica.

Nei tardi anni ’50 si afferma l’attrice marchigiana Virna Lisi, per lunghi anni ritenuta “l’attrice più bella del mondo” che inizialmente lavorerà in molte commedie del periodo per autori come Steno, Mario Mattoli e Francesco Maselli. Dalla metà del decennio comincia a comparire in pellicole d’autore, tra le quali si ricorda Signore & signori (1966) di Pietro Germi, ma l’apoteosi della sua carriera si raggiunge nel 1994 con la splendida interpretazione del film “La regina Margot”(1994), con cui si aggiudica la Palma d’oro a Cannes per la migliore interpretazione femminile. Tra gli altri premi ha ricevuto quattro quattro David di Donatello e ben sei Nastri d’argento. Di lei se ne è già parlato più approfonditamente, nel saggio dedicatole in precedenza.

Sempre nella seconda parte degli anni ’50 ci imbattiamo in qualche caso di attrice prettamente comica, e intorno alla quale si imbastisce tutto un film. Sono nomi di attrici, che comunque, per motivi diversi, almeno come protagoniste, durarono cinematograficamente piuttosto poco, più che altro crearono delle brevi stagioni di successo, che le issarono tra le grandi interpreti del nostro cinema. Si tratta insomma di casi alquanto atipici, e senza dubbio diversissimi tra loro. Mi riferisco a Franca Valeri, a Tina Pica e a Marisa Allasio. Soltanto l’ultima delle quali, con una bellezza eguale a quelle delle precedenti “dive” e attrici già citate. Franca Valeri si era guadagnata nel corso degli anni ’50 una solida popolarità radiofonica, che la televisione rinnovò. Il cinema più che cercare di imporla ( a differenza della Pica e della Allasio, la Valeri non fu mai ufficialmente il numero di maggior richiamo di un film) si arrese davanti alla sua straordinaria bravura, soprattutto quando l’attrice si dimostrò perfettamente in grado di tener testa sul suo terreno anche al fenomeno Sordi, proprio accanto al quale ella diede alcuni dei suoi risultati più brillanti: in “Il segno di Venere”, ne “Il moralista”, ma soprattutto in “Piccola posta” di Steno, farsa sulla rubrica di consigli di un settimanale femminile tenuta da una sedicente contessa polacca (la Valeri)- facili ma irresistibili i contrasti tra i suoi racconti autobiografici a beneficio dei lettori e la realtà periferica che vediamo (zuffa al mercato tra il corteggiatore, un veterinario e un fruttarolo). E poi con “Il vedovo”(1959), sempre in coppia con Alberto Sordi, che Franca Valeri rasenta la perfezione, riuscendo persino ad offuscare la stella di Sordi. Strepitosa l’interpretazione autoironica della Valeri, che è la moglie ingombrante da eliminare, in una della commedie italiane dalle tinte noir, più interessanti della fine del decennio. Franca Valeri, poi negli anni ’60 si specializzerà nel cinema popolare, riscuotendo sempre un grande successo di pubblico, la vediamo magari in coppia con i fratelli Mario e Memmo Carotenuto nel film “Mariti in pericolo”, oppure nel corale “Gli onorevoli”, cui nel cast figurano anche Totò e Peppino De Filippo. La breve durata dei “casi” Tina Pica e Marisa Allasio dipese dall’età avanzata della prima, che era nata nel 1884, e da quella troppo acerba della seconda, che non fece in tempo a mettere radici nel suo mestiere: al culmine del successo infatti sposò un titolato e si ritirò dalle scene. Della Pica si è già detto più di qualcosa nei saggi precedenti, sulla pur bravissima Marisa Allasio, val la pena soffermarci un pò di più. Marisa Allasio fu lanciata da Risi in “Poveri ma belli”(1956), grandioso successo di pubblico delle giovani leve del cinema italiano, al fianco di Marisa Allasio, figurano anche Maurizio Arena, Renato Salvatori, Lorella De Luca e Alessandra Panaro, e replicò l’anno dopo in “Belle ma povere”. Il sequel confermò il successo della serie e lanciò la stella della Allasio, che oltre ad una freschezza recitativa quasi ingenua, offriva anche una bellezza dalle curve formose e burrose. Oltre a ciò anche una buona dose di simpatia, e la capacità di essere quasi una “venere tascabile” che sapeva prendere in giro il proprio fisico pneumatico e volgere in riso la torva sensualità che retrospettivamente sembrava aver dominato quei tempo frustrati dalla morale vigente; in questo risultando più moderna e simpatica della sua contemporanea Brigitte Bardot, anche se a differenza di lei non valicò mai i confini nazionali. La sua carriera fu dunque brevissima, durò giusto un quinquennio, ma costellato da film molto graziosi e freschi nella loro confezione: “Marisa, la civetta”(1957) di Mauro Bolognini, in cui la minimaggiorata è gelataia alla stazione di Civitavecchia, divisa tra il burbero nuovo capo Francisco Rabal e il marinaio Renato Salvatori; “Susanna tutta panna”(1957) di Steno; “Arrivederci Roma”(1957) al fianco di due stelle come Renato Rascel e il tenore italo-americano Mario Lanza; “Camping”(1957) di Franco Zeffirelli, con Nino Manfredi; con il quale Manfredi tornerà a recitare insieme nel film “Carmela è una bambola”(1958), una delle più belle commedie leggere e spensierate della fine degli anni ’50, ambientata nella costiera amalfitana. Poi venne il suo ultimo film , il celeberrimo “Venezia, la luna e tu”(1958) al fianco di Alberto Sordi e Nino Manfredi. E’ questo, uno dei film più famosi dell’intera cinematografia italiana, uno dei capolavori di freschezza e di furbizia recitativa, un terzetto di attori di eccelso livello. Soprattutto, Sordi e la Allasio, che ne sono i protagonisti, di questa tenera e divertente storia d’amore ambientata tra i ponti e le lagune di Venezia, quella del guidatore di gondole Bepi e della sua gelosissima fidanzata Nina. Dopo di chè, la Allasio sposò un titolato e diede l’addio alle scene.



Nei primi anni ’60 fa la sua comparsa Claudia Cardinale, scoperta e lanciata alla fine degli anni cinquanta da Mario Monicelli che la scrittura per una piccola parte nel film del 1958 I soliti ignoti. La sua «bellezza in pari tempo solare e notturna, delicata e incisiva, enigmatica e inquietante» è stata utilizzata e valorizzata dai maggiori autori dell’epoca. Si ricordano in particolare le sue interpretazioni per Visconti (Il Gattopardo, Vaghe stelle dell’Orsa), Fellini (8½), Bolognini (Il bell’Antonio, La viaccia, Senilità), Zurlini (La ragazza con la valigia), Comencini (La ragazza di Bube), Sergio Leone (C’era una volta il West), Luigi Zampa (Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata), Luigi Magni (Nell’anno del Signore) e Damiano Damiani (Il giorno della civetta). Tra i suoi numerosi riconoscimenti si ricordano Il Leone d’oro alla carriera (1993), l’Orso d’Oro alla carriera (2002) e Il pardo d’onore al Festival di Locarno, ricevuto nell’agosto del 2011. Come le altre attrici della sua generazione, ha incarnato un nuovo modello femminile, una donna volitiva e battagliera, che vuole essere libera e indipendente,afferma la proprietà di se stessa ed aspira ad un ruolo paritario nei rapporti affettivi e professionali. Compagna per oltre un decennio del produttore cinematografico Franco Cristaldi, principale artefice della sua carriera, dalla metà degli anni settanta è legata al regista Pasquale Squitieri e dalla fine degli anni ottanta risiede stabilmente in Francia. Ha due figli, Patrick e Claudia. La storia cinematografico-personale di Claudia Cardinale è tra le più particolari dell’intera cinematografia mondiale. Dopo aver abbandonato gli studi presso il “Centro sperimentale di Cinematografia di Roma”, tornata a Tunisi, si trova però di fronte all’inattesa scoperta di essere incinta. È il risultato di una drammatica esperienza personale: una breve, dolorosa relazione con un uomo francese, più grande di lei di una decina d’anni, iniziata quand’era ancora solo diciassettenne, con una violenza. Decisa a non abortire, trova una via di salvezza nella proposta di un contratto di esclusiva da parte della casa di produzione Vides di Franco Cristaldi. È questo l’inizio, non desiderato ma imposto dalle circostanze, della sua carriera cinematografica. Il suo primo film italiano è I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli, nel quale interpreta il piccolo ruolo di Carmelina, una ragazza segregata in casa dal fratello, il primo di tanti ruoli di donna siciliana a cui il suo aspetto mediterraneo – adatto ad essere tanto aristocratico quanto contadino – sembra destinarla. La commedia è un enorme successo e la Cardinale diventa immediatamente riconoscibile, addirittura già presentata da alcuni giornali come «la fidanzata d’Italia». Quando teme ormai di non poter più nascondere la gravidanza, incontra Cristaldi per chiedergli l’interruzione del contratto, in modo da potersene andare, ma lui intuisce il problema, l’aiuta ad affrontare la famiglia e la manda a partorire a Londra, lontano dagli sguardi della stampa, con la scusa di dover imparare la lingua inglese per un film. Grata della comprensione da parte del produttore, è però sconvolta quando lui le impone di non rivelare la propria maternità, perché questa sarebbe un tradimento verso il pubblico e significherebbe la fine della sua carriera, facendo leva sul dettagliatissimo contratto all’americana che la vincola in ogni aspetto della sua vita, compresa la propria immagine, privandola di qualsiasi capacità di autodeterminazione: «non ero più padrona né del mio corpo né dei miei pensieri. Persino a un’amica era rischioso raccontare qualcosa che prendesse le distanze dalla mia immagine pubblica, perché poteva essere divulgato, mettendomi nei guai. Tutto era in mano alla Vides». Per sette anni conserva questo segreto, al pubblico e anche al suo stesso figlio, Patrick, cresciuto in famiglia come un fratello, finché un giornale scandalistico non scoprirà la verità e la Cardinale deciderà di narrarla, con liberazione, al giornalista Enzo Biagi, in un articolo pubblicato su Oggi e L’Europeo. Il primo film importante della sua carriera è Un maledetto imbroglio (1959) di Pietro Germi, che per lei è una vera rivelazione. Fino a quel momento ha lavorato senza essere conquistata dal cinema, ma grazie alla sapiente direzione del burbero e laconico regista-attore, con il quale nasce un’immediata affinità tra due caratteri simili, comincia ad imparare cosa sia il mestiere della recitazione e a sentirsi a proprio agio davanti alla macchina da presa. Si tratta della sua prima vera prova di attrice, per la quale riceve una lusinghiera recensione da parte di Federico Fellini («una Cardinale che io mi ricorderò per un pezzo. Quegli occhi che guardano con gli angoli accanto al naso, quei capelli bruni lunghi e spettinati (…) quel viso di cerva, di gatta, e così passionalmente perduta nella tragedia»). Mentre la maternità nascosta le fa condurre una vita sempre più appartata, impedendole di viverne a pieno la parte pubblica, tutta la sua esistenza si riduce al solo dovere, ad un lavoro serrato e ininterrotto, un film dietro l’altro. La successiva tappa professionale è segnata dall’incontro con Mauro Bolognini. È l’inizio di un fortunato rapporto professionale e privato, che darà vita a cinque film, fra i quali alcuni che lei considera tra i suoi preferiti, come Senilità, Libera, amore mio! e soprattutto La viaccia. «Con lui, dietro la macchina, ancora una volta, come con Germi, mi sono sentita sicura di me», «considero Mauro Bolognini un grandissimo regista: un uomo di rara sapienza professionale, di grandissimo gusto e cultura. Oltre che, per me personalmente, un amico sensibile e sincero.»Nei film di Bolognini, la Cardinale incarna la figura della donna come perdizione per l’uomo, la mantide religiosa, grazie alla sua grande femminilità estetica. In effetti, durante le riprese del primo di questi, Il bell’Antonio, la star della Dolce vita Marcello Mastroianni si innamora di lei che, pur attratta dal suo fascino gentile, lo respinge, perché non lo prende sul serio e lo considera uno di quegli attori che non possono fare a meno di innamorarsi delle loro compagne di lavoro. Mastroianni, anche a distanza di molti anni, le rinfaccerà di non aver creduto all’autenticità dei suoi sentimenti. Malgrado il dispiacere di Bolognini per la situazione, l’atmosfera di tensione tra i due interpreti si rivela ideale per trasmettere quella fra i personaggi del film. Un vero e proprio «film della vita» è La ragazza con la valigia di Valerio Zurlini, che mette in scena involontariamente la parte più dolorosa della sua vita reale, il figlio nascosto, e le permette un’identificazione totale con il personaggio della ragazza-madre Aida. Il coinvolgimento è tale che le richiede poi un paio di mesi per essere superato e lasciato alle spalle. Il regista la sceglie contro il parere di tutti, per un personaggio così difficile, quando lei non è ancora considerata una «vera» attrice, tanto come la maggiore bellezza nazionale. Come Germi, le si mette accanto durante la lavorazione: «Zurlini era di quelli che amano molto le donne: aveva una sensibilità quasi femminile. Mi capiva da uno sguardo. Mi ha insegnato tutto, senza impormi niente. (…) Mi ha voluto veramente bene.» Con lui nasce una vera amicizia, basata su una profonda comprensione reciproca. Tanto La viaccia di Bolognini quanto La ragazza con la valigia di Zurlini vengono selezionati in concorso per il Festival di Cannes 1961. Alla Croisette l’attrice ventiduenne non è paragonabile alle due dive italiane presenti, Sophia Loren (che vince il premio per la migliore interpretazione femminile con La ciociara) e Gina Lollobrigida, ma per alcuni giornali appare come una credibile antagonista di Brigitte Bardot, tanto che la rivista francese Paris Match le dedica una copertina intitolata «La chiamano già CC. È Claudia Cardinale la giovane rivale di BB».Nel 1962 la Cardinale realizza la celebre intervista con Alberto Moravia nella quale lo scrittore si concentra esclusivamente sul suo corpo, trattandola come un oggetto, ma lei stessa trova adeguato che le si chieda solo di quello che è il suo strumento dell’essere attrice: «Io usavo il mio corpo come una maschera, come rappresentazione di me stessa». L’articolo, pubblicato su Esquire con il titolo The next goddess of love, è ripreso in tutto il mondo e poi ampliato in un libro intitolato La dea dell’amore, pubblicato nel 1963. L’attrice si rende conto, con un certo divertimento, di mettere a disagio lo scrittore, per il suo prorompente aspetto fisico (1,70 cm distribuiti su curve naturali esuberanti, a partire da una quarta di reggiseno), che l’avvicina ai personaggi femminili dei suoi romanzi. E qualche anno dopo interpreterà proprio uno di essi nel film Gli indifferenti, tratto dal suo omonimo romanzo. Il 1963 rappresenta un anno cruciale per la carriera della Cardinale.Ha l’irripetibile occasione di lavorare contemporaneamente con due dei maggiori maestri del cinema italiano dell’epoca in veri e propri film-simbolo della loro intera carriera, con Luchino Visconti per Il Gattopardo e con Federico Fellini per 8½, sperimentando in prima persona come due artisti possano essere dei geni in maniera totalmente diversa: seguendo strade, istinti, metodi addirittura opposti. Sul set di Visconti, il clima è quasi religioso, si vive solo per il film, lasciando fuori il mondo esterno. Tanto Visconti ha bisogno del silenzio per lavorare, quanto Fellini ne ha invece di essere immerso nella confusione e circondato dal massimo della volgarità e del rumore.Con il primo, è impossibile cambiare una virgola, con il secondo il clima è di improvvisazione totale, anche se di fatto si viene portati dove lui vuole, senza nemmeno accorgersi. Visconti, che con il ruolo di Angelica le ha fatto «il più bel regalo della mia vita d’attrice», ha il vezzo di parlarle in un ottimo francese, quasi da madre lingua, imparato quando era assistente di Jean Renoir, Fellini la coinvolge in lunghe passeggiate e chiacchierate. Entrambi sono molto teneri con lei e la chiamano con lo stesso diminutivo affettuoso, Claudina, entrambi lasciano un segno nella sua vita: «Luchino ha fatto e farà parte per sempre della mia vita: è nei miei pensieri, nei ricordi, nei sogni, ma lo ritrovo persino più concretamente, materialmente, nel viso e nello sguardo che ho oggi, nelle mie mani…»; «Con Federico ho girato un solo film. Mi ha fatto sentire il centro del mondo: la più bella, la «più speciale» di tutte, la più importante.» Fellini fa esprimere al proprio alter ego Mastroianni una reverente dichiarazione d’amore all’attrice («Quanto sei bella, mi metti in soggezione, mi fai battere il cuore come un collegiale. Che rispetto vero, profondo, comunichi.») e la trasforma in una sorta di ideale femminile salvifico, l’interprete ideale della “ragazza della fonte”: «bellissima, giovane e antica, bambina e già donna, autentica, misteriosa». È lui il primo a volerla non doppiata: per lui, ogni differenza è poesia, compresa quella voce caratteristica che, per merito suo, viene finalmente rivelata su grande schermo, aggiungendo ulteriore fascino a quello già irresistibile derivato dall’intensità dello sguardo e la magnificenza dei tratti.Entrambi i film partecipano con successo al Festival di Cannes: Il Gattopardo conquista trionfalmente la Palma d’oro, mentre 8½ è presentato fuori concorso. La Cardinale presenzia brevemente sulla Croisette, giusto il tempo sufficiente per la storica fotografia sulla spiaggia in compagnia dei “tre gattopardi”, Luchino Visconti, Burt Lancaster e un vero ghepardo. Se l’interpretazione di Angelica nel Gattopardo e la breve apparizione nel ruolo di se stessa in 8½ segnano la sua definitiva consacrazione come stella di prima grandezza, la sua prima vera interpretazione con la propria voce, nel film La ragazza di Bube di Luigi Comencini (che segue saggiamente l’esempio di Fellini), le vale il primo importante riconoscimento al suo lavoro di attrice, il Nastro d’Argento alla migliore attrice protagonista. Dopo Visconti e Fellini, anche quello con Comencini è un incontro importante: «[Luigi Comencini] è un altro di quelli che mi ha capita subito, senza parole. (…) Ci siamo parlati poco anche mentre giravano insieme: a me non servono le parole del regista, mi serve sentirmi capita, amata da lui. E lui mi ha sempre amata e capita.» In questo stesso anno partecipa anche al suo primo film americano (seppur girato in Italia), La pantera rosa di Blake Edwards, nel quale recita accanto ad un attore del calibro di David Niven, dall’eccezionale humour, che conia per lei l’eccentrico complimento «la più bella invenzione italiana… dopo gli spaghetti!». A distanza di trent’anni, ritroverà poi Blake Edwards per Il figlio della pantera rosa (1993).I pieni anni sessanta la vedono all’apice della carriera e della fama internazionale. Per tre anni lavora negli Stati Uniti, vivendoci stabilmente sei mesi all’anno, riuscendo a mantenersi fredda e a non lasciarsi andare alla favola: «Il mio vantaggio a Hollywood è stato che l’iniziativa non è partita da me, ma da loro: era il periodo in cui invitavano tutte le attrici europee di un certo successo, non tanto per apertura e generosità, quanto piuttosto perché gli americani volevano avere il monopolio delle star e, se ne intravedevano altrove, cercavano di farle immediatamente proprie. (…) Il più delle volte, in realtà, ti distruggevano: andavi in America, e tornavi che non eri più niente o nessuno. Io mi sono difesa, per esempio rifiutando con decisione l’offerta di un contratto in esclusiva con la Universal: firmavo di volta in volta, per singoli film. E alla fine me la sono cavata.» Il circo e la sua grande avventura (1964) di Henry Hathaway le permette di lavorare con due star assolute come John Wayne e Rita Hayworth ma, mentre instaura un rapporto molto amichevole con “the Duke”, deve assistere suo malgrado alla straziante decadenza della Hayworth. Lavora poi con Rock Hudson in L’affare Blindfold (1965) di Philip Dunne e con Anthony Quinn in Né onore né gloria (1966) di Mark Robson. Proprio il primo, di cui non ignora le segrete preferenze sessuali, è il miglior compagno del suo periodo hollywoodiano: Hudson si dimostra molto protettivo nei suoi confronti, comprendendo il suo disagio di europea in un mondo diverso. Frequenta anche Barbra Streisand ed Elliott Gould, diventa amica di Steve McQueen, ma continua a sentirsi inevitabilmente estranea a quel mondo.[64] Nel frattempo in Italia torna a lavorare con Visconti in Vaghe stelle dell’Orsa (1965), vincitore di un “riparatorio” Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia ma anche insuccesso commerciale, nel quale ha modo di esprimere al massimo le proprie capacità drammatiche. Lavora per la prima volta con Antonio Pietrangeli e Ugo Tognazzi nel film Il magnifico cornuto (1965), nel quale appare al culmine della propria sensualità, ma è un’esperienza di cui ha «solo ricordi poco gradevoli: con Pietrangeli, mi dispiace dirlo, non c’è stato un gran feeling. E poi c’era Tognazzi che, all’epoca, mi faceva una corte spietata…»Sempre nel ’66 si cimenta con il genere western in I professionisti di Richard Brooks, il suo miglior film americano, nel quale ha il piacere di ritrovare Lancaster, con il quale ha condiviso l’indimenticabile esperienza del Gattopardo. È protagonista assoluta della commedia d’ambientazione brasiliana Una rosa per tutti (1967) di Franco Rossi. Affianca Tony Curtis e Sharon Tate in Piano, piano non t’agitare (1967) di Alexander Mackendrick. All’inizio del 1967, viene raggiunta negli Stati Uniti da Cristaldi, che ha organizzato a sua insaputa il loro matrimonio, che viene celebrato ad Atlanta, ma mai ufficializzato in Italia. Questo «sedicente matrimonio», come lo definisce la Cardinale, e la successiva affiliazione di Patrick, sono vissute dall’attrice come un altro modo per tenerla legata, sempre meno libera di decidere della propria vita, piuttosto che il risultato di sentimenti autentici. Nel 1968, la Cardinale interpreta senza sosta numerosissime opere cinematografiche, film che rendono l’attrice sempre più imponente al pubblico internazionale, consacrandola anche per gli anni settanta. Questo è l’anno de Il giorno della civetta di Damiano Damiani, capostipite dei film di denuncia, e soprattutto del capolavoro del western all’italiana C’era una volta il West di Sergio Leone, nel quale interpreta la prostituta Gill, l’unico ruolo femminile di rilievo di tutto il cinema del regista. L’esperienza con Leone è particolarmente positiva, sia sul piano umano che professionale: «Ho voluto un gran bene a Sergio: il nostro era un legame di grande affetto. Con il suo bellissimo film mi ha regalato un personaggio magnifico (…) Tutto il periodo è legato a un’impressione complessiva di grande benessere: con Sergio mi sono sentita diretta sempre nel modo giusto (…) ho provato la sensazione di essere sempre perfetta, grazie a Sergio: mai avuto un problema.» Ma soprattutto nel film I guappi (1974) lavora per la prima volta con il regista emergente Pasquale Squitieri, suo coetaneo, che sarà il protagonista di qui in avanti della sua vita professionale e privata. Il loro primo incontro è decisamente tempestoso, caratterizzato in apparenza da reciproca diffidenza ed antipatia,ma la Cardinale rimane anche fortemente attratta da quell’ombroso regista napoletano, dallo sguardo azzurro e trasparente. È lei, inavvicinabile in quanto compagna di uno degli uomini più potenti dell’ambiente cinematografico italiano, a farsi avanti, malgrado tutte le voci negative sul regista, che viene generalmente dipinto come un uomo imprevedibile, collerico, collezionista di donne. Ma ai suoi occhi Squitieri rappresenta proprio quella vitalità ed anche quella follia e quegli eccessi di cui sente un bisogno crescente, dopo molti anni costretta ad «una vita tutta regolata, tutta programmata, tutta razionale e razionalizzata… Pasquale era l’opposto: ed è stato l’opposto a sedurmi.» La loro relazione ha inizio nel 1973, ma solo due anni dopo la ufficializzeranno, pur senza sposarsi. Finalmente Claudia, ha il coraggio di prendere in mano la sua vita e parte per gli Stati Uniti raggiungendo Squitieri, con il quale intraprende un viaggio on the road che segna l’inizio di una nuova fase della sua vita. Per la Cardinale, si tratta della riconquista di una parte dell’esistenza che le era stata a lungo negata, della riscoperta del piacere di vivere e della libertà personale: «con Pasquale, ho recuperato una parte della mia vita che non ho vissuto: e cioè tutta la mia adolescenza, la mia spensieratezza, tutto quello che mi è stato impedito o mi sono impedita di vivere.» La Cardinale si aspetta che Cristaldi, sempre così distaccato, sia comprensivo e le permetta di rifarsi una vita, invece la sua reazione è meschina e vendicativa: le crea attorno il vuoto nell’ambiente cinematografico, per mettere fine alla sua carriera, e chiede esplicitamente a Visconti di non chiamarla per L’innocente (1976), impedendole così di partecipare a quello che si rivelerà essere l’ultimo film del regista. Per di più, la Vides la lascia con un debito nei confronti del fisco di cento milioni di lire. Si ritrova quindi a pagare il raggiungimento della felicità privata con l’inattività professionale. Anche Squitieri da uomo di successo si ritrova disoccupato, perché non trova produttori disposti ad inimicarsi Cristaldi.[85] L’ultimo contatto con Cristaldi saranno, in seguito, solo le pratiche del divorzio necessarie per consentire al produttore di sposare Zeudi Araya. Dopo diciassette anni di lavoro ininterrotto, con almeno tre-quattro film all’anno, l’attrice rimane ferma per quasi due anni prima che Franco Zeffirelli la chiami per il ruolo dell’adultera nel suo Gesù di Nazareth televisivo. Le sembra di uscire da una lunga convalescenza e il fatto che le riprese si svolgano a Monastir, in Tunisia, non fa che accentuare la sensazione di un nuovo inizio. Negli anni seguenti lavora ripetutamente con Squitieri, che l’affianca a Giuliano Gemma in Corleone (1977) e Il prefetto di ferro (1977). A quarant’anni può permettersi una seconda maternità desiderata, quanto tardiva, vissuta però con grande serenità, come un riscatto della prima e con una stabilità sentimentale, finalmente raggiunta dopo anni di sopprusi e di rinunce.




In egual misura si impone come nuova figura femminile l’attrice romana Monica Vitti. Musa per antonomasia del cinema esistenziale di Antonioni, ha ricoperto più volte ruoli comici e farseschi, spesso in coppia con i vari protagonisti della commedia all’italiana. L’opera che avvia la sua stagione di brillante interprete di commedie è la pellicola La ragazza con la pistola, uscita nelle sale nel 1968 per la regia di Mario Monicelli. Tra i molti riconoscimenti ha ricevuto ben nove David di Donatello e un premio BAFTA. Nel 1995 riceve al Festival di Venezia il Leone d’oro alla carriera. L’ultima figura di rilievo venuta alla luce negli anni sessanta è l’attrice Stefania Sandrelli. Entra nel mondo del cinema a soli quindici anni nel film di Mario Sequi Gioventù di notte (1961), e si afferma accanto a Ugo Tognazzi nel film Il federale (1961), diretto da Luciano Salce. Sarà Pietro Germi a donarle la definitiva notorietà con due capolavori della commedia quali Divorzio all’italiana (1961), con Marcello Mastroianni, e Sedotta e abbandonata (1964). Nel 1965 è la protagonista del film di Antonio Pietrangeli Io la conoscevo bene. In seguito lavora con alcuni dei massimi registi italiani come Bernardo Bertolucci, Luigi Comencini, Mario Monicelli ed Ettore Scola. Nel 2005 le viene assegnato il Leone d’oro alla carriera.


Negli anni settanta si fanno conoscere Mariangela Melato (raffinata interprete di commedie e pièce teatrali) e la giovanissima Ornella Muti; accanto a esse trovano successo numerose attrici di “genere”; ovvero tutte quelle interpreti legate ad un preciso genere commerciale come l’horror, la commedia sexy, il poliziesco, il western e altri ancora. Non bisogna tralasciare le numerose performance di molte caratteriste e attrici teatrali che hanno partecipato a moltissime commedie ottenendo fama e popolarità ragguardevoli. Tra le tante si ricordano: Ave Ninchi e Bice Valori.

Da ultimo si sottolinea l’indiscussa importanza avuta nell’ambito del cinema italiano dell’attrice Giulietta Masina, collaboratrice e compagna di vita del regista Federico Fellini. Tra le attrici italiane è quella che ha dato vita ai personaggi più difficili, più originali e più intensi del nostro cinema. Piccola di statura rispetto alle più avvenenti colleghe, fa valere le sue capacità e le sue doti recitative sfruttando uno straordinario talento, consistente in un’espressività ricca di sfumature, che sarà esaltato soprattutto dal marito Federico Fellini. Il loro fu il binomio artistico e umano più prolifico e affascinante della cultura italiana del novecento: un’alchimia rara tra un genio creativo e un’artista sublime. Si conoscono negli anni della guerra, quando Giulietta Masina porta alla radio un personaggio di Fellini, che si apprestava a diventare uno dei più importanti sceneggiatori della nascente corrente neorealista. Il matrimonio fu celebrato poco tempo dopo il fatale incontro. Dopo qualche comparsata, eccola protagonista della prima pellicola diretta da Fellini assieme ad Alberto Lattuada: “Luci del varietà”(1950), in cui si fa subito valere come interprete sensibile e dotata, esaltata dal personaggio della docile e tenera fidanzata tradita dal suo uomo ( un grandissimo Peppino De Filippo). E’ l’inizio di una cammino grandioso, in cui lavora con registi come Comencini, Rossellini, Eduardo De Filippo, trovando però le più importanti affermazioni personali con Federico Fellini, che le cuce addosso ruoli indimenticabili ( Gelsomina de “La strada”, e Cabiria de “Le notti di Cabiria”) negli anni ’50 come nella maturità. Fu un successo anche personale, in un’epoca in cui si affermavano solo maggiorate e bellezze da copertina. Il loro amore era fatto di tradimenti (“Tanto lui torna sempre da me” commentava lei) e di incomprensioni, ma era inossidabile, e straziante nel suo epilogo. Federico Fellini diceva: “Giulietta mi è parsa subito una misteriosa persona che richiamava una mia nostalgia di innocenza. Vi è una parte di incantesimi, magie, visioni, trasparenze, la cui chiave è Giulietta. Mi prende per mano e mi porta in zone dove da solo non sarei mai arrivato”. Non c’è da stupirsi se ad un poeta del genere Giulietta perdonasse tutto! E la serata in cui gli fu assegnato l’Oscar alla carriera, cinque mesi prima di morire, lo stesso regista ribadì a una platea commossa: “L’Oscar non appartiene a me, ma a Giulietta”. Si ammalarono praticamente insieme e, quando Fellini morì, lei inevitabilmente lo raggiunse pochi mesi dopo, nel 1994. Numerose, nella carriera di Giulietta, sono state le sue perle, e le sue interpretazioni sublimi. Raggiunse la notorietà a livello mondiale con il ruolo di Gelsomina nel film “La strada” (1954), dove recitò accanto ad Anthony Quinn e Richard Basehart, e poi con “Il bidone” (1955), con Broderick Crawford e ancora Basehart. Nel 1957 raggiunse probabilmente l’apice della carriera nel ruolo di Cabiria nel film “Le notti di Cabiria” (che aveva già affrontato in piccola misura nel primo film diretto dal marito, “Lo sceicco bianco” del 1951). Qui, Fellini porta la figura clownesca e innocente della moglie Giulietta Masina a diretto contatto con le brutture e le nefandezze dell’esistenza quotidiana: dall’accostamento nasce un film commovente e ironico, sorta di omaggio al cialtronesco mondo delle borgate romane, nel quale il regista tiene a sottolineare l’esistenza della Grazia cattolicamente intesa, “annunciata” da personaggi ai limiti del folklore e incarnata da un gruppo di giovani che “ridestano alla vita”( e al sorriso) Cabiria dopo l’inganno finale. In un ruolo a lei estremamente congeniale, quello di una povera e ingenua prostituta ingannata da un mascalzone, capace di superare il poeticismo della Gelsomina de “La strada” per toccare sublimemente le corde della tragedia, la Masina ottenne un’enorme popolarità e si aggiudicò la prestigiosissima “Palma d’Oro” al festival di Cannes, come miglior interprete femminile. Il premio che la issa definitivamente nell’olimpo delle grandi stelle, o dive, del cinema mondiale. Nel 1958 interpretò una commovente figura di donna in “Fortunella” per la regia di Eduardo De Filippo, con Alberto Sordi (parte drammatica del rigattiere), Carlo Dapporto e lo stesso Eduardo De Filippo. In quello stesso anno prese parte, anche, in una difficile, ma grande prova, al film “Nella città l’inferno”, di Renato Castellani. Un dramma carcerario in cui possiamo ammirare, insieme in coppia, forse le più grandi attrici della storia del cinema italiano ( che sul set si detestarono) Giulietta Masina e Anna Magnani. Poi Fellini la dirigerà ancora nel suo primo film a colori, “Giulietta degli spiriti” (1965) insieme a Mario Pisu e, vent’anni più tardi, nel malinconico “Ginger e Fred” (1985) proprio accanto all’amico Marcello Mastroianni, nella parte di due ex ballerini di tip-tap popolarissimi durante la guerra col nome d’arte preso a prestito dai celebri Fred Astaire e Ginger Rogers, invitati nel rutilante e magniloquente show televisivo “Ed ecco a voi”…, campionario di varia umanità mostrata come fenomeno da baraccone sacrificato alle esigenze dell’audience e interrotto in maniera ossessiva da spot pubblicitari. Per “Giulietta degli spiriti”, Giulietta Masina si aggiudicò il David di Donatello; invece per “Ginger e Fred”, vinse il Nastro d’argento, in entrambi i casi nella categoria “miglior attrice protagonista”, andando così ad integrare e consolidare una già eccezionale carriera artistica.


Eccoci, dunque alla fine di questo lungo viaggio attraverso le grandi attrici del cinema italiano, 40 anni di bravura, di fascino e di bellezza, che hanno conquistato il mondo. Storie di vita, fatte di successi, di trionfi, ma anche, in alcuni casi di momenti duri e di sofferenze: in poche parole le nostre “dive” che hanno reso immortale il cinema italiano.
Domenico Palattella